Può un semplice numero predire crisi finanziarie, guerre e rivoluzioni economiche? Esiste una teoria che sostiene di sì, e la sua forza non sta nei grafici o nei bilanci, ma nel tempo stesso. Un tempo preciso, quasi ossessivo, che si ripete come un’eco nel corso della storia.
Un numero che torna, sempre, come se ci fosse una logica invisibile dietro agli eventi globali. Alcuni lo chiamano visione, altri lo considerano solo una suggestione matematica. Ma è davvero così facile liquidarlo?
Ogni tanto emergono teorie che sfidano la logica convenzionale e aprono porte su scenari inaspettati. Il ciclo di Armstrong è uno di quei casi che, anche senza l’approvazione ufficiale della comunità scientifica, riesce a far parlare di sé. Non si tratta di una visione mistica né di un’intuizione improvvisata. Al contrario, nasce da un calcolo preciso: pi greco moltiplicato per mille, cioè 3141 giorni, circa 8,6 anni.
L’uomo dietro a tutto questo è Martin Armstrong, ex consulente finanziario, finito più volte sotto i riflettori anche per vicende giudiziarie. Ma ciò che ha reso il suo nome davvero noto è il suo modello, l’Economic Confidence Model, che tenta di leggere il comportamento globale attraverso il tempo ciclico.
Secondo il ciclo di Armstrong, gli eventi economici e politici su larga scala seguono un pattern fisso. Ogni 8,6 anni, sostiene Armstrong, l’economia mondiale raggiunge un picco o un minimo di fiducia, aprendo la strada a grandi cambiamenti. Il modello è pieno di sottocicli e svolte, come i momenti definiti “Panic Cycle” o “Turning Point”, che segnano rotture importanti negli equilibri globali.
A colpire non è solo la teoria, ma il modo in cui viene applicata. Armstrong attribuisce al suo modello la capacità di aver previsto eventi come il crollo della Lehman Brothers nel 2008, il picco della bolla internet nel 2000 e persino la crisi del 1987. Più recentemente, il 26 ottobre 2023 è stato indicato come un picco critico, punto di partenza per una nuova fase di instabilità finanziaria e geopolitica.
Tuttavia, questo schema non convince tutti. Molti esperti lo accusano di mancare di rigore scientifico e di essere troppo interpretabile. Le previsioni, a volte, sembrano talmente generiche da poter essere adattate a qualsiasi evento. Eppure, il fatto che molte di queste ricorrenze sembrino realmente verificarsi resta difficile da ignorare.
Se ci si affida al ciclo di Armstrong, i prossimi anni non promettono stabilità. Il 2025 è identificato come un Panic Cycle, con alte probabilità di crisi nei mercati finanziari. Il 2026, invece, viene indicato come un “Turning Point”, un punto di svolta potenzialmente rivoluzionario. Seguono altri Panic Cycle nel 2027 e 2028, con focus su deflazione in Cina, problemi di spesa e instabilità in Europa.
Il modello si estende anche a previsioni settoriali: energia e materie prime potrebbero attraversare fasi di estrema volatilità, e anche i mercati azionari sembrano destinati a brusche oscillazioni. Tuttavia, gli stessi sostenitori del modello ammettono che si tratta di un approccio utile più per riflettere che per decidere con certezza.
Che si creda o meno al ciclo di Armstrong, resta il fascino di un’ipotesi che tenta di portare ordine nel caos.
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