Un nome, una diagnosi, mille domande. Quando a un figlio viene detto che ha la sindrome di Asperger, il mondo cambia. Cambia per lui e cambia per chi gli sta accanto. Cosa succede adesso? Quali diritti esistono? È possibile ricevere una forma di supporto economico, come la pensione di invalidità? E se sì, con quali criteri e in quali casi? Le risposte non sono immediate, ma esistono. Bisogna solo saperle cercare nel posto giusto.
Ogni famiglia reagisce in modo diverso davanti a una diagnosi che porta con sé parole nuove, acronimi complessi e documenti che sembrano parlare una lingua difficile. La verità è che il momento della diagnosi rappresenta spesso un punto di partenza, non un traguardo. E anche se all’inizio può sembrare tutto molto confuso, esistono percorsi strutturati, strumenti concreti e norme che riconoscono le esigenze delle persone nello spettro autistico.
Negli ultimi anni, l’approccio alla disabilità in Italia ha fatto passi importanti, specialmente per chi convive con disturbi del neurosviluppo. Eppure, spesso, ciò che manca è una guida semplice, che traduca le leggi in parole comprensibili, che faccia chiarezza sulle possibilità offerte e racconti casi reali. Per questo oggi si parla di un tema cruciale per tante famiglie: il legame tra sindrome di Asperger e invalidità civile.
La sindrome di Asperger, oggi classificata come disturbo dello spettro autistico, è una condizione riconosciuta anche a fini medico-legali. Ma non è la diagnosi a determinare automaticamente il diritto all’invalidità civile. Conta soprattutto l’impatto che questa condizione ha sulla vita quotidiana.
Per i minorenni, esiste l’indennità di frequenza, una prestazione economica destinata ai bambini con difficoltà persistenti che richiedono trattamenti riabilitativi o assistenza scolastica. Ad esempio, un bambino di 10 anni che segue terapie settimanali e ha bisogno di supporto scolastico può ottenere questo tipo di riconoscimento se la commissione medico-legale conferma l’effettiva limitazione funzionale.
Per gli adulti, la valutazione cambia. Viene attribuita una percentuale di invalidità, secondo le tabelle previste dal D.M. 5 febbraio 1992. Se la compromissione delle relazioni sociali, dell’autonomia personale o la presenza di disturbi associati come ansia o depressione incidono in modo significativo, la percentuale può essere alta. Quando arriva al 100% e ci sono specifici limiti di reddito, si può accedere alla pensione di inabilità civile.
In ogni caso, è sempre necessaria una valutazione medico-legale effettuata da una commissione ASL-INPS. Questa esamina la documentazione sanitaria e valuta il grado di compromissione funzionale, non la sola diagnosi. L’INPS, attraverso il messaggio n. 5544/2014, ha chiarito che nei casi di autismo in età evolutiva è opportuno non fissare revisioni fino alla maggiore età, salvo situazioni borderline.
Il 2024 ha portato con sé una riforma importante: il d.lgs. n. 62 ha introdotto un nuovo sistema di valutazione della condizione di disabilità. Non sostituisce l’invalidità civile, ma semplifica l’iter, rendendolo più integrato. A partire dal 2025, in alcune province italiane selezionate, si sperimenta un modello in cui la valutazione non è solo sanitaria, ma tiene conto anche del contesto familiare, scolastico e sociale.
Questo approccio può fare la differenza. In una provincia coinvolta nella sperimentazione, una ragazza con diagnosi di Asperger ha ottenuto il riconoscimento della condizione di disabilità con maggiore rapidità grazie alla collaborazione tra scuola, famiglia e servizi sanitari. La possibilità di unire i punti di vista di chi segue quotidianamente il minore permette una valutazione più realistica e completa.
È importante ricordare che i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) garantiscono diagnosi precoce, cure e trattamenti appropriati per chi vive con disturbi dello spettro autistico. La Legge 134/2015 ha dato ulteriore forza a questo principio, coinvolgendo anche le Regioni nell’attivazione di percorsi strutturati.
Chiedersi se con la sindrome di Asperger si può avere una pensione di invalidità è più che legittimo. E la risposta è sì, a condizione che la condizione incida concretamente sulla vita quotidiana. Ogni situazione è unica e va valutata nella sua complessità, ma conoscere i propri diritti è il primo passo per farli valere davvero.
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