Una legge approvata il 7 maggio 2025 ha segnato un punto di svolta per milioni di persone in Italia. Per la prima volta, l’obesità è stata riconosciuta ufficialmente come malattia cronica. Non si tratta solo di un cambio di definizione, ma di un passo concreto verso una nuova idea di salute pubblica.
Una decisione che mette al centro diritti, accesso alle cure, prevenzione e inclusione. Un cambiamento che affonda le radici in anni di battaglie, ma che ora diventa realtà legislativa, con implicazioni che riguardano famiglie, scuole, medici e istituzioni.

Fino a oggi, chi viveva con l’obesità doveva affrontare difficoltà sanitarie, giudizi sociali e, spesso, costi proibitivi per ricevere cure adeguate. Era come se il problema fosse solo individuale. Eppure, i numeri parlano da soli: in Italia, circa il 12% degli adulti è obeso, pari a circa 6 milioni di persone. Tra i ragazzi, la situazione non è migliore: il 4,4% dei giovani tra gli 11 e i 17 anni è obeso e il 18,2% è in sovrappeso. Dati che mostrano un fenomeno complesso, radicato e in costante crescita.
Con questa nuova legge, finalmente, lo Stato prende posizione in modo deciso. L’obesità non è più una responsabilità personale, ma una patologia cronica da affrontare con strumenti pubblici, risorse dedicate e un piano nazionale strutturato.
Obesità cronica: cosa prevede la nuova legge
Il cuore della normativa è il riconoscimento dell’obesità come malattia cronica, con la conseguente inclusione nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Questo significa che le prestazioni sanitarie per la diagnosi, il trattamento e la gestione di questa condizione saranno garantite dal Servizio Sanitario Nazionale, eliminando ostacoli economici e differenze territoriali.

Il testo di legge prevede l’adozione di un piano nazionale triennale per la prevenzione e la cura dell’obesità, sia in età adulta che pediatrica. Il piano includerà programmi di screening, percorsi diagnostico-terapeutici standardizzati e linee guida unificate per tutti i professionisti coinvolti.
Un altro punto centrale riguarda la creazione di centri specialistici regionali, in collegamento con università e centri di ricerca. In questi spazi, il trattamento dell’obesità avverrà attraverso un approccio multidisciplinare che coinvolge endocrinologi, nutrizionisti, psicologi, pediatri e fisioterapisti.
Grande rilievo viene dato anche alla prevenzione a partire dai più piccoli. Le scuole avranno un ruolo fondamentale: sarà introdotta l’educazione alimentare e motoria obbligatoria, si limiteranno le pubblicità di cibi poco salutari rivolte ai minori e si promuoverà l’attività fisica attraverso progetti extracurriculari.
Il sostegno all’allattamento al seno rappresenta un’altra misura concreta: sarà incentivato fino almeno ai sei mesi di età, anche nei luoghi di lavoro e negli asili nido, in linea con le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Dalle parole ai fatti: un cambiamento culturale profondo
Oltre agli aspetti sanitari, questa legge punta a cambiare il modo in cui l’obesità viene percepita socialmente. Un Osservatorio nazionale, istituito presso il Ministero della Salute, si occuperà di monitorare l’andamento della malattia, raccogliere dati epidemiologici e coordinare le attività di informazione e sensibilizzazione.
Le Regioni saranno chiamate a mettere in campo iniziative concrete, dalla promozione di corretti stili di vita alla creazione di percorsi di inclusione per le persone con obesità nel mondo del lavoro, della scuola e delle attività ricreative. L’obiettivo è restituire dignità, abbattere lo stigma e garantire a tutti pari opportunità.
Questa riforma introduce anche un sistema di finanziamenti dedicati: si prevedono circa 4,2 milioni di euro nel primo triennio, destinati a sostenere i programmi di prevenzione e cura. Un segnale importante, che dimostra come l’obesità venga finalmente considerata una priorità sanitaria e sociale.