Con questi specifici comportamenti adesso si perde il posto di lavoro, lo spiega la Cassazione alla sentenza n. 24100/2025.
Non bisogna mai perdere di vista l’obiettivo, soprattutto il buon senso, specie quando si viene a sapere che con questi specifici comportamenti adesso, si perde il posto di lavoro. Dopo aver fatto una trafila lunghissima per ottenerlo, anche solo il pensiero di ritrovarsi una situazione del genere sembra assurdo, ma difatti, è così. Infatti, è bene specificare che si parla di licenziamento per comportamenti “extra-lavorativi”, lo spiega la Cassazione, queste regole con altrettante conseguenze.

È stata la sentenza n. 24100/2025 a esprimere uno dei principi cardine dell questione, questo è destinato a incidere in maniera profonda sul diritto del lavoro. Infatti, le azioni commesse nella vita privata possono essere ragione per licenziare in un’azienda. Dall’analisi di un caso concreto, è possibile comprendere in maniera più approfondita.
Si è trattato di un dipendente coinvolto in episodi di violenza, legati al tifo organizzato, poi condannato penalmente. L’azienda non ha avuto dubbi sulla sua decisione, ha proseguito così, e gli stessi giudici hanno poi conferito piena legittimità a questa pronuncia. Ma c’è un di più, poiché gli stessi hanno aggiunto un discrimine essenziale.
Non ogni comportamento extra lavorativo è causa di licenziamento! Ma si tratta di quelli che miniano la reputazione e la credibilità professionale. Ecco di quali si tratta e come comportarsi.
Tutti i comportamenti per i quali adesso si perde il posto di lavoro
Ma come può la vita privata incidere così tanto sul lavoro? A detta della Cassazione, i comportamenti extra-lavorativi possono pregiudicare la propria stabilità quando si intaccano negativamente reputazione e credibilità professionale, ma ci sono delle condotte specifiche da analizzare.

Tra datore e lavoratore incorre un contratto di lavoro, il comportamento extra-lavorativo sbagliato può condurre al licenziamento tenendo conto dei seguenti criteri.
La gravità dei fatti, ossia quanto l’azione commessa compromette l’affidabilità del lavoratore. Segue poi la stessa natura delle vittime, infatti si pone attenzione se i comportamenti hanno colpito istituzioni o forze dell’ordine. Ancora, ci deve essere “compatibilità con la mansione”, se c’è incompatibilità rispetto il lavoro svolto, il licenziamento è giustificato.
Il privato non è più una sfera intoccabile, ma è parte integrante del rapporto di lavoro. Tra gli elementi più incisivi, c’è il tempo d’intervento dell’azienda, la quale non agisce subito, ma deve attendere la sentenza definitiva prima di licenziare in tronco.
Il licenziamento è legittimo quando figura nell’esito del processo penale, quando il datore non è obbligato ad agire in base a voci o indagini in corso, o ancora quando la condanna definitiva è il momento in cui il provvedimento diventa pienamente giustificato.
Si rafforza la posizione delle aziende che possono pianificare azioni disciplinari con sicurezza giuridica. Nel caso trattato, il lavoratore ha parlato di “trattamento discriminatorio”, infatti per questi gli altri colleghi non sarebbero mai stati trattati così. La Corte ha ribattuto che qualora fosse davvero così, bisognerebbe dimostrarlo con prove certe, non si possono accettare come valide delle mere presunzioni.