Basta un codice per entrare? Forse sì. Forse no. Qualcuno aveva detto che la sicurezza viene prima di tutto, ma cosa accade quando le regole stringono troppo e fanno inciampare il buon senso? Un semplice gesto, come accogliere un ospite da remoto, si era trasformato in un nodo burocratico che ha fatto alzare più di un sopracciglio.
Ma qualcosa è cambiato, e stavolta la voce di chi lavora nel mondo dell’accoglienza ha trovato ascolto. E non solo: ha vinto. Il dibattito sui check-in automatizzati torna al centro della scena. Ma non tutto è come sembra.

Fino a poco tempo fa, chi gestiva affitti brevi si è trovato a fare i conti con un vincolo piuttosto rigido. Una circolare del Ministero dell’Interno, diffusa nel novembre 2024, aveva eliminato la possibilità di identificare gli ospiti da remoto. Vietato, quindi, inviare documenti online e usare codici d’ingresso automatizzati. L’identificazione doveva avvenire di persona, obbligatoriamente. Poco importava se l’ospite aveva già fornito tutto tramite strumenti digitali sicuri. La regola era chiara. E per molti, fin troppo pesante.
La stretta ha colpito in particolare chi gestisce strutture senza reception, magari a distanza, o con sistemi di apertura automatizzata. La locazione turistica moderna si muove con un certo grado di automazione e digitalizzazione, e questa imposizione è sembrata da subito sproporzionata. Così è iniziata una battaglia legale, promossa da FARE (Federazione Associazioni Ricettività Extralberghiera), per riportare equilibrio e ragionevolezza nella gestione degli adempimenti.
Il TAR rimette al centro la proporzionalità nei controlli
Il colpo di scena è arrivato con la sentenza n. 10210 del 27 maggio 2025 del TAR Lazio. I giudici hanno accolto il ricorso di FARE, annullando la circolare ministeriale e riconoscendo che imporre il riconoscimento in presenza degli ospiti non solo è eccessivo, ma anche non giustificato in modo adeguato. Il Tribunale ha evidenziato come il Ministero non abbia fornito prove concrete che questo tipo di controllo sia realmente più efficace. Anche in presenza, infatti, nulla garantisce che chi entra sia la persona mostrata nel documento.

Inoltre, l’obbligo introdotto si è scontrato con il principio di semplificazione amministrativa già previsto nel nostro ordinamento. Il check-in da remoto non è una pratica improvvisata, ma un sistema ormai consolidato, usato anche da grandi piattaforme e da moltissimi operatori, che consente di rispettare gli obblighi di legge – come la comunicazione dei dati alla Questura tramite il portale “Alloggiati Web” – senza aggravare inutilmente il lavoro di chi ospita.
La sentenza rappresenta un punto fermo: non basta evocare motivazioni generiche, come crisi internazionali o eventi straordinari, per imporre limitazioni permanenti. Le regole devono essere proporzionate, fondate su dati reali e coerenti con la realtà operativa del settore. Ora, la possibilità di accogliere gli ospiti a distanza torna a essere una scelta legittima per chi gestisce affitti brevi, anche in assenza di contatto diretto.
Questo non significa rinunciare alla sicurezza, ma riconoscere che esistono strumenti alternativi, affidabili e già funzionanti. La sfida, semmai, è accompagnare l’innovazione con regole intelligenti, che tutelino senza soffocare. E in questo equilibrio sottile tra legalità e tecnologia, la sentenza del TAR potrebbe segnare l’inizio di un nuovo approccio, più vicino alla realtà e meno ostaggio di rigidità inutili.