Molti credono che con una carriera lavorativa breve non ci sia alcuna possibilità di ottenere un assegno mensile. Ma non è così.
Anche con soli 5 anni di contributi, esistono misure poco conosciute che possono garantire una forma di sostegno.
Le regole sembrano rigide, ma alcune vie alternative sono pensate proprio per chi ha interrotto presto la vita lavorativa.
Chi ha versato pochi contributi ha diritto a sapere quali strumenti possono offrire una rendita dignitosa.
Età, reddito e condizioni personali diventano più rilevanti del numero di anni lavorati.
Il sistema previdenziale prevede tutele anche per chi ha avuto una vita professionale irregolare.
In tanti si chiedono se cinque anni bastino per andare in pensione. A prima vista, la risposta sembrerebbe no. Eppure, ci sono eccezioni che aprono possibilità concrete, specialmente per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995. In questi casi, l’accesso alla pensione con 5 anni di contributi non è un miraggio, ma una realtà regolata dalla normativa vigente.
Molti lavoratori si trovano in questa situazione dopo anni di lavori saltuari, precari o interrotti per motivi di salute o personali. E proprio per queste persone, la legge ha previsto percorsi alternativi alla classica pensione di vecchiaia, che richiede almeno 20 anni di versamenti. Il punto centrale diventa capire quali strumenti sono effettivamente accessibili e in che modo possono essere combinati per ottenere un sostegno mensile.
Per chi ha iniziato a versare contributi dopo il 31 dicembre 1995, la pensione contributiva di vecchiaia rappresenta un’opportunità reale. Richiede almeno 5 anni di contributi effettivi (quelli realmente lavorati), e l’accesso scatta al compimento dei 71 anni di età.
L’assegno mensile dipende interamente da quanto è stato versato. Con uno stipendio lordo annuo di 20.000 euro, in cinque anni si versano circa 33.000 euro. Applicando il coefficiente di trasformazione (oggi al 6,510% per chi ha 71 anni), si ottiene una pensione lorda di circa 165 euro mensili.
Una cifra bassa, certo, ma non è l’unico aiuto possibile. E qui entrano in gioco altri strumenti assistenziali, pensati proprio per integrare gli assegni minimi e garantire una soglia di dignità.
Già a 67 anni si può richiedere l’assegno sociale, destinato a chi ha redditi molto bassi. Nel 2025, l’importo è di 538,68 euro mensili, per 13 mensilità. Se si rispetta il limite di reddito (7.002,97 euro annui per i single), questo assegno può essere cumulato con la pensione contributiva una volta compiuti i 71 anni. Il totale mensile può così superare i 700 euro.
In presenza di invalidità riconosciuta, esistono ulteriori tutele. La pensione di invalidità civile per chi ha una percentuale tra il 74% e il 99% è pari a 336 euro al mese, con un tetto di reddito di 5.771,35 euro. Se l’invalidità è totale, si arriva a 739,83 euro, con un limite più alto (quasi 20.000 euro annui). A questo si può aggiungere l’indennità di accompagnamento, pari a 542 euro, concessa ai non autosufficienti senza limiti di reddito.
Grazie alla nuova normativa, i soggetti oncologici non dovranno più sottoporsi a visite di revisione, se i documenti medici sono completi. Un passo importante per semplificare l’iter e rendere meno gravoso l’accesso ai benefici.
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