Maturare i requisiti per i precari potrebbe non essere una passeggiata, così la nuova normativa della misura sociale ne chiarifica la gestione.
Con la nuova misura sociale è tutto più chiaro per i precari che si accingono a pensionarsi: bisogna rispettare i requisiti vigenti, altrimenti addio risoluzione felice per alcuni di questi. La precarietà è un danno, ecco la sua gestione.
La condizione dei precari è sempre più complessa, anche quando si parla di previdenza. Nel caso in cui un lavoratore vedesse scadere il contratto a tempo determinato alla fine dell’anno solare, ma è venuto a conoscenza del fatto che per l’APE Sociale servono almeno 18 mesi da dipendente negli ultimi 36, come deve comportarsi se non li possiede tutti? Potrebbe versare contributi volontari?
L’APE Sociale è consentita nei 3 anni, anche se ci sono stati rapporti a termine frammentati e presso differenti datori di lavoro. L’importante è che si consolidino 18 mesi.
Senza questo elemento, non si può accedere all’accompagnamento alla pensione, specie perché non si possono versare contributi volontari per colmare quanto manca nelle mensilità. Ciò sussiste poiché non rientrerebbero nell’arco temporale che serve per conseguire i requisiti. A dirlo è la Legge n. 232/2016, la quale stabilisce con precisione chi ne ha diritto.
Si tratta di disoccupati dopo il termine del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, oppure chi si è dimesso per giusta causa, o per risoluzione consensuale secondo la procedura dell’art. 7 della legge n. 604/1966. Chi ha visto scadersi il contratto e nei 36 mesi precedenti ne ha consolidati 18 da dipendente e con anzianità contributiva di 30 anni.
Come può risolvere la situazione il protagonista del caso in esame?
La gestione del sistema contributivo che contraddistingue l’ambito previdenziale odierno è spesso fonte di complicanze, proprio per la sua natura “rigida” e poco flessibile rispetto situazioni come quella del caso in esame. Non ci sono eccezioni, è una sola la modalità concessa.
I vincoli indicati non possono essere omessi, modificati o fatti venire meno. Come se non bastasse, una recente pronuncia della Cassazione mette in chiaro ulteriori specifiche. La più importante, è che non è necessario aver fruito di NASPI, ma essere in stato di disoccupazione.
Così, si evince che le indicazioni operative poste nella circolare INPS n. 34/2018 indicano che i 36 mesi si calcolano a ritroso proprio dalla data di scadenza dell’ultimo contratto a tempo determinato.
Quindi, i 18 mesi restano necessari, ma possono non essere continuativi. Vige infine un’altra regola, quella che oltre all’età di minimo 63 anni a 5 mesi, bisogna rispettare l’incumulabilità con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, fatta un’alternativa, l’unica ammessa.
Quella di aver compiuto del lavoro occasionale entro il limite di 5 mila euro l’anno. Superata questa soglia, non si rientra.
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