Molti pensionati si rassegnano a vivere con un assegno troppo basso, ma non è sempre detto che debba andare così. Esistono strategie, del tutto legali e spesso ignorate, che permettono di ottenere un importo mensile più alto. Chi vive con una pensione minima o inferiore ai 1.000 euro ha tutto l’interesse a conoscere come aumentare la pensione attraverso strumenti che l’INPS e la legge già mettono a disposizione. Alcuni di questi sono applicabili anche a distanza di anni dal pensionamento. Non è fantascienza, è realtà.
In Italia, milioni di pensionati vivono ogni mese con poco più di 600 o 700 euro. Basta una spesa imprevista o una bolletta troppo salata per mandare all’aria un intero bilancio familiare. Una signora di 74 anni di Milano, ad esempio, riceveva da anni 820 euro, comprensivi di reversibilità.

Dopo aver chiesto una ricostituzione reddituale all’INPS, dimostrando il calo dei suoi redditi, ha ottenuto un’integrazione che ha portato la pensione a 936 euro. Nessun trucco: solo diritti poco noti.
Ricostituzione e ricalcolo: quando chiedere fa davvero la differenza
La ricostituzione della pensione è uno strumento fondamentale per correggere o aggiornare il trattamento economico. Si può chiedere in due casi principali. Il primo è la ricostituzione contributiva, utile per chi ha versato contributi non considerati nel calcolo iniziale della pensione. Ad esempio, un ex operaio di Torino si è accorto che mancavano sei mesi di contributi versati alla Gestione Separata. Dopo la richiesta di ricostituzione, ha ottenuto un aumento di 78 euro mensili.

Il secondo tipo è la ricostituzione reddituale. Se i redditi del pensionato o del suo nucleo familiare si sono ridotti rispetto a quelli presenti al momento del pensionamento, l’INPS può ricalcolare l’importo e aggiungere integrazioni. Una vedova di Catania, ad esempio, è passata da una pensione di 710 euro a 840 euro mensili, grazie alla perdita di una rendita catastale che la rendeva precedentemente non idonea a ricevere la maggiorazione sociale.
Le richieste si fanno direttamente sul sito INPS con SPID, o tramite patronati, utilizzando il modulo AP116. L’aumento, se riconosciuto, può avere effetto anche retroattivo, con arretrati importanti.
La svolta a 67 anni: come la Cassazione ha cambiato le regole del gioco
Una recente sentenza (n. 30803 del 2024 della Corte di Cassazione ha aperto una possibilità concreta per aumentare la pensione anche molti anni dopo il pensionamento. Il caso riguarda quei periodi di contribuzione che abbassano l’importo della pensione, come part-time ciclico, disoccupazione non indennizzata o contributi figurativi che servono solo a raggiungere i requisiti minimi.
Secondo la Cassazione, chi è andato in pensione anticipata con questi contributi penalizzanti può, una volta compiuti i 67 anni, chiedere all’INPS la loro neutralizzazione. Questo comporta un ricalcolo che spesso porta a un assegno più alto.
Un insegnante di Napoli, andata in pensione anticipata a 63 anni con molti periodi di aspettativa non retribuita, ha richiesto il ricalcolo al compimento dei 67 anni. Risultato: 102 euro in più al mese. Non si tratta di un regalo, ma di un diritto derivante da una corretta interpretazione della legge.
Per avviare la procedura è sufficiente una richiesta scritta all’INPS, meglio se con l’assistenza di un patronato, allegando documentazione sui periodi da neutralizzare. I risultati variano da caso a caso, ma in molti si trovano a ricevere un assegno finalmente più vicino alla propria storia lavorativa.