Un piccolo aumento può davvero fare la differenza nella vita quotidiana di chi vive di pensione. Quando si tratta di assegni di reversibilità, ogni cifra conta e anche un incremento minimo può alleggerire le spese mensili. Le pensioni di reversibilità nel 2026 saranno soggette a una rivalutazione più consistente rispetto al passato, grazie a un adeguamento stimato dell’1,7%.
Questa novità rappresenta un passo importante per moltissimi familiari superstiti, spesso alle prese con redditi limitati. Non si tratta solo di numeri, ma di un aiuto concreto che arriva proprio in un momento in cui l’inflazione continua a farsi sentire. Gli aumenti varieranno in base all’importo dell’assegno e al tipo di legame con il defunto. La speranza è che questa misura non resti isolata, ma apra la strada a una maggiore attenzione verso chi vive con poco.
Non sempre gli adeguamenti annuali delle pensioni riescono a tenere il passo con il costo della vita. Per chi riceve una pensione di reversibilità, ogni euro in più può significare un piccolo margine di tranquillità in più. L’annuncio della rivalutazione per il 2026 ha destato interesse proprio perché arriva dopo un 2025 segnato da un incremento minimo dello 0,8%.
Ora si passa a un tasso più generoso dell’1,7%, secondo i dati Istat. Questo significa che l’assegno mensile aumenterà, soprattutto per chi riceve cifre più basse. Il coniuge superstite e i figli avranno importi aggiornati in base alla loro quota spettante, che varia dal 60% al 20% dell’assegno originario.
La rivalutazione delle pensioni di reversibilità viene applicata ogni anno per compensare l’aumento del costo della vita. L’1,7% previsto per il 2026 rappresenta un passo in avanti rispetto allo 0,8% dell’anno precedente. Questo incremento sarà pienamente applicato per assegni che non superano le quattro volte il trattamento minimo INPS (poco più di 2300 euro lordi). Oltre questa soglia, la percentuale di aumento scende: al 90% tra quattro e cinque volte il minimo, e al 75% oltre questa fascia.
Nel caso della pensione di reversibilità, però, l’importo viene calcolato sulla base del rapporto con il defunto. Al coniuge spetta il 60% dell’importo della pensione originaria, al figlio il 20%. Così, su una pensione lorda di 1500 euro, si passa a 1525,50 euro. Il coniuge percepirà 915,30 euro (invece di 900), mentre il figlio avrà 305,10 euro (anziché 300). L’aumento, seppur modesto, arriva ogni mese, ed è proprio nella regolarità che si fa sentire.
In un altro esempio, per un assegno lordo da 2500 euro, la parte fino a quattro volte il minimo sarà rivalutata interamente. I primi 2454,80 euro cresceranno dell’1,7%, per un incremento di circa 41,73 euro. La parte eccedente, circa 45 euro, verrà rivalutata al 90%, producendo un piccolo extra aggiuntivo. Complessivamente, si parla di 42,4 euro mensili lordi in più. Il coniuge riceverà 1525,45 euro, mentre il figlio 508,97 euro.
Questo sistema di rivalutazione progressiva favorisce chi percepisce pensioni più basse, mantenendo intatto l’aumento del 1,7% per importi inferiori a una certa soglia. Una scelta che sembra orientata verso una maggiore equità sociale. In particolare, molte famiglie monoreddito o anziani soli potranno contare su una piccola ma costante entrata mensile leggermente più alta. È una novità che, anche se non rivoluzionaria, si fa sentire nella quotidianità.
Va considerata anche la situazione degli ex coniugi, che in presenza di una sentenza di divorzio con assegno a carico del defunto, possono ricevere una quota della reversibilità. La somma, in questi casi, viene divisa con criterio proporzionale tra coniuge ed ex coniuge, con un calcolo basato sulla durata del matrimonio e sulla presenza di altri aventi diritto. Anche in questi casi, la rivalutazione si applica alla parte spettante.
Il meccanismo non risolve le difficoltà economiche di chi vive con pensioni minime, ma rappresenta un segnale concreto. Un modo per affermare che i legami familiari non si interrompono con la morte, e che chi resta ha diritto a un sostegno dignitoso.
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