Nel 2026 qualcosa si muove per chi vive con le pensioni più basse, ma l’aumento promesso non riguarda tutti: piccoli segnali di sollievo solo per chi rientra in criteri ben precisi. C’è chi si troverà con qualche euro in più ogni mese e chi, nonostante un assegno minimo, rimarrà escluso. Età e reddito diventano i fattori decisivi. In un momento in cui ogni euro può incidere sulla qualità della vita, sapere come funzionerà davvero questo intervento può fare la differenza tra un aiuto concreto e una semplice speranza infranta.
Oggi vivere con una pensione minima significa spesso dover scegliere tra bollette, farmaci e spesa. Basta un imprevisto per mandare tutto all’aria. Proprio per questo, l’idea di un aumento delle pensioni minime 2026 ha attirato l’attenzione di tanti. Ma, come spesso accade, non tutto è così semplice. L’incremento mensile previsto sarà di 20 euro, a cui si aggiunge una possibile rivalutazione legata all’inflazione. In tutto, l’aumento massimo stimato arriva a 30 euro. Ma non sarà per tutti.

L’intervento non è automatico né universale: servono precisi requisiti per rientrare nella platea di chi potrà beneficiare dell’aumento. L’intenzione è quella di sostenere chi è in condizioni di particolare fragilità economica, ma la selettività dei criteri rischia di escludere molte persone che vivono con pensioni basse, ma che per pochi euro o pochi mesi d’età non riescono ad accedere al beneficio.
Chi riceverà davvero l’aumento delle pensioni minime previsto dal 2026 e perché non sarà per tutti
Secondo le informazioni contenute nella bozza della Legge di Bilancio, l’aumento mensile di 20 euro interesserà solo i pensionati che rispettano due condizioni fondamentali. La prima è l’età: bisogna aver compiuto almeno 70 anni. Chi ha una pensione minima ma ha meno di 70 anni, pur trovandosi in una situazione economica difficile, resterà escluso dalla maggiorazione straordinaria.

La seconda condizione riguarda il reddito. Non basta percepire un assegno basso. Bisogna rientrare nei limiti previsti per la maggiorazione sociale, che tengono conto del reddito personale o familiare. Questi limiti vengono aggiornati ogni anno dall’INPS. In pratica, se una persona ha anche piccole entrate extra, come una rendita da affitto o un’altra prestazione assistenziale, potrebbe facilmente superare la soglia e perdere il diritto all’aumento.
Un esempio concreto: un pensionato di 71 anni che vive solo con una pensione di 603 euro potrebbe rientrare nei criteri e vedere il proprio assegno aumentare. Ma se riceve un piccolo aiuto economico da un familiare, questo potrebbe bastare a far salire il reddito oltre il limite e a far sfumare l’aumento.
Nuove soglie di reddito e rivalutazione degli importi che cambiano gli scenari per chi riceve pensioni basse
Oltre alla maggiorazione straordinaria, è prevista anche una rivalutazione annuale delle pensioni minime legata all’inflazione. Se nel 2026 il tasso di inflazione si manterrà intorno all’1,7%, come previsto, una pensione minima di 603 euro potrebbe arrivare a circa 613 euro al mese. Sommando questa rivalutazione ai 20 euro fissi, si può raggiungere un aumento totale di 30 euro al mese, ossia 360 euro annui. Per alcuni, può sembrare poco. Ma per chi deve fare i conti con ogni centesimo, rappresenta un piccolo ma importante sollievo.
Resta però la questione dell’equità. Chi percepisce pensioni poco superiori ai limiti stabiliti, ma si trova in situazioni economiche simili a chi rientra nei requisiti, resta escluso. Questo solleva dubbi sull’efficacia della misura nel colmare realmente il divario tra le fasce più deboli. Inoltre, poiché l’aumento rientra nella Legge di Bilancio, è possibile che i dettagli cambino durante l’iter parlamentare. Sarà quindi fondamentale restare aggiornati attraverso fonti istituzionali come INPS e Agenzia delle Entrate.
Alla fine, la misura non risolve il problema delle pensioni basse in Italia, ma rappresenta un primo passo. E forse, per molti, quei 30 euro saranno il segnale che qualcosa, anche se lentamente, può cambiare.