La BCE segue la Fed nell’aumento dei tassi di 75 punti. Una mossa aggressiva e inevitabile in un contesto di inflazione che veniva fino a pochi mesi fa considerata transitoria.
La BCE cerca di riacquistare credibilità dopo la sorprendente inflazione di agosto. Con un’inflazione core doppia rispetto agli obbiettivi di politica monetaria e in aumento il regime dei tassi cerca di correggere quello che sembra ora fuori controllo.
È soprattutto l’aumento del prezzo delle materie prime in un contesto di imprevedibilità che sta portando una contrazione degli investimenti e al contempo l’aumento dei prezzi al consumo.
Uno scenario bipolare in cui le banche centrali faticano a mettere ordine. La BCE cerca di rispondere con forza alle critiche che la accusavano di essere rimasta indietro rispetto agli interventi necessari. L’aspettativa adesso è che la BCE rallenti il ritmo dei rialzi aumentandoli di altri 50 punti a ottobre e di 25 a dicembre.
Quello che non viene detto abbastanza spesso è che il bilancio delle banche centrali e i tassi reali sono ancora lontani dal rappresentare una politica monetaria restrittiva.
Il bilancio della FED è ancora di 8 mila miliardi di dollari, ridottasi di appena 1,25% e l’inflazione dipende molto di più dalla situazione macroeconomica che causa un calo della domanda. La massa monetaria negli Stati Uniti è oggi superiore al 40% rispetto al dicembre 2019. C’è una liquidità in eccesso di 2,5 mila miliardi di dollari che le banche non osano investire.
Il dato non sarebbe così allarmante se a questo non si fosse accompagnata una recessione, si pensa transitoria, degli Stati Uniti. Un sistema finanziario che non è più al passo con l’evoluzione e le possibilità dell’economia reale. Questa non sembra produrre abbastanza occasioni per incentivare l’ingresso di nuova liquidità. Mentre tutti credono che l’economia rallenti a causa delle Banche centrali i numeri ci dicono che gli interventi non hanno ancora avuto effetto sull’economia reale. Il rallentamento è semmai dovuto alle aspettative negative degli investitori prima e delle aziende poi.
Un sistema pieno di liquidità che non la usa e si trova in costante pericolo di recessione è un sistema che ha smesso di funzionare. Il problema sono i rischi di investimenti improduttivi o l’improduttività di quelli già in essere. L’attesa di un nuovo scenario più favorevole si affianca al rischio più elevato di un eccesso di debito che finanzia asset in perdita o che non producono profitti sufficienti.
Come possono intervenire le Banche Centrali in caso di crisi se già nel sistema c’è un eccesso di liquidità? Quanto dovrà cedere la domanda e l’economia per far calare l’inflazione fino a tornare intorno al 2% dall’8% attuale?
La speranza e la prospettiva che i tassi torneranno a scendere e che i mercati finanziari riprenderanno la corsa al rialzo, sostenuti da un ritorno della liquidità, si rivela inconsistente; questa infatti in realtà, non è mai stata rimossa. Il sistema è entrato in una crisi di fiducia e di mancanza di sbocchi rifiutando di fatto la liquidità in eccesso.
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