Un terzo delle testate nucleari americane presenti in Europa è stoccato in Italia, ma nessuno lo dice apertamente. Il nostro Paese ha firmato un trattato che vieta questa presenza, eppure le bombe ci sono. In Friuli e in Lombardia si vive sopra un arsenale nucleare senza saperlo. Una contraddizione pericolosa tra diritto internazionale, sicurezza e volontà popolare. L’80% degli italiani è contrario a questa situazione, ma non ha mai potuto esprimersi. Tutto questo è reale, e accade ogni giorno, in silenzio.
Per decenni si è raccontata una narrazione rassicurante: l’Italia è un Paese pacifista, estraneo alle logiche atomiche. La Costituzione lo dice chiaramente: la guerra è ripudiata. E con il Trattato di non proliferazione nucleare firmato nel 1975, sembrava non ci fosse alcun dubbio.
In realtà, da oltre mezzo secolo, il nostro territorio ospita ordigni atomici statunitensi. Non si tratta di ipotesi, ma di dati confermati da rapporti NATO, studi di istituti internazionali e inchieste giornalistiche. Le bombe sono vere, custodite in basi militari italiane e pronte all’uso. E il controllo non è italiano.
L’articolo II del Trattato di non proliferazione nucleare è molto chiaro: l’Italia si impegna a non ricevere armi nucleari da nessuno. Eppure, secondo stime attendibili, nel nostro Paese sono presenti tra le 70 e le 90 testate B61, una delle più potenti bombe americane. Si trovano in due basi militari: Aviano, in Friuli-Venezia Giulia, e Ghedi, in Lombardia. Aviano ospiterebbe circa 50 ordigni, mentre a Ghedi ne sarebbero presenti almeno una ventina.
Questa presenza si giustifica nel contesto della cosiddetta nuclear sharing, una prassi NATO che consente ad alcuni Paesi membri non nucleari di ospitare armi atomiche. Ma il fatto che sia una prassi interna all’Alleanza non la rende automaticamente legittima sul piano del diritto internazionale. Come evidenziato anche da fonti giuridiche autorevoli, la presenza di queste armi viola chiaramente gli impegni presi con il trattato.
C’è poi un altro punto cruciale: il controllo di questi ordigni non è italiano. Il comando è americano, l’utilizzo è deciso da Washington, e i caccia F-35 italiani, progettati anche per trasportare queste testate, agirebbero solo su richiesta alleata. In pratica, il nostro territorio può diventare punto di partenza di un attacco nucleare senza che l’Italia possa decidere nulla. Una condizione che rende il nostro Paese bersaglio diretto in caso di conflitto.
Secondo un sondaggio Ipsos, l’80% degli italiani è contrario alla presenza di armi nucleari in Italia. Un’opinione netta, ma del tutto ignorata. Non c’è mai stato un dibattito parlamentare aperto su questo tema, né tanto meno un referendum. La politica ha scelto il silenzio. E intanto, milioni di cittadini vivono sopra un potenziale bersaglio nucleare.
Le basi di Aviano e Ghedi sono obiettivi strategici. In caso di guerra, sarebbero tra i primi luoghi colpiti. Questo vuol dire che intere comunità vivono ogni giorno sopra un rischio estremo, senza alcuna informazione, senza alcuna scelta. E senza la possibilità di sapere davvero cosa accadrebbe in caso di emergenza.
Nel frattempo, l’Italia ha investito miliardi di euro per dotarsi degli F-35, velivoli militari capaci di sganciare ordigni nucleari. Una spesa enorme che rafforza il ruolo del nostro Paese nella strategia atomica della NATO, pur restando formalmente una nazione “non nucleare”.
Tutto questo accade in silenzio.
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