Un bonus casa che permette di tagliare la spesa del 50% sulle ristrutturazioni condominiali fa gola a molti, ma attenzione: non vale per tutti. Una circolare dell’Agenzia delle Entrate ha cambiato le regole del gioco, introducendo criteri più rigidi e nuovi compiti per l’amministratore. Un dettaglio può fare la differenza tra risparmiare davvero e perdere l’agevolazione. Ecco perché conviene sapere esattamente cosa è cambiato e come comportarsi per non farsi trovare impreparati.
Negli ultimi mesi, molte assemblee condominiali hanno rimandato lavori già deliberati. A bloccare tutto, spesso, è stata l’incertezza sulla detrazione del 50% nel 730. Il cambiamento introdotto dalla Legge di Bilancio 2025 ha infatti creato un sistema a due velocità: da una parte chi vive stabilmente nell’immobile, dall’altra chi possiede una seconda casa.
La differenza non è solo formale, ma ha conseguenze concrete sul portafoglio.
Con la circolare 8/E/2025, l’Agenzia delle Entrate ha definito chi può beneficiare del pieno bonus casa in condominio. Da questo momento, non basta essere proprietari: serve che l’immobile sia l’abitazione principale.
Il bonus condominio prevede una detrazione del 50% nel 730 per le spese condominiali sostenute nel 2025, ma solo se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale. In caso contrario, la detrazione scende al 36%. Questo principio vale per i lavori su parti comuni, come rifacimento delle facciate, coibentazioni, impianti centralizzati.
Ma cosa si intende per abitazione principale? Non basta avere la residenza anagrafica: l’uso effettivo è la chiave. Deve essere il luogo in cui il contribuente o un suo familiare vive abitualmente. Un appartamento affittato, lasciato vuoto o utilizzato saltuariamente non dà diritto alla detrazione massima.
Per certificare la situazione, il contribuente deve fornire una dichiarazione scritta, oppure aggiornare l’anagrafe condominiale. Senza questo passaggio, l’amministratore non potrà indicare l’aliquota corretta. E senza un’aliquota corretta, il Fisco applicherà quella minima.
Esempi pratici? Un padre proprietario dell’appartamento dato in uso gratuito alla figlia che ci vive stabilmente può ottenere il 50%, ma solo se lo dichiara formalmente. In assenza di dichiarazione, scatterà il 36%. Ogni dettaglio fa la differenza.
Il cambiamento non riguarda solo i contribuenti, ma coinvolge anche l’amministratore, che ha l’obbligo di trasmettere all’Agenzia delle Entrate le spese sostenute dal condominio entro il 16 marzo. A partire dal 2025, non dovrà più comunicare solo importi e millesimi, ma anche l’aliquota applicabile a ogni condomino.
Per farlo, dovrà raccogliere informazioni aggiornate sulla destinazione d’uso degli immobili. Questo può avvenire tramite autodichiarazione o aggiornando il registro anagrafico condominiale. Senza collaborazione da parte dei proprietari, però, il rischio di errori aumenta.
E se i dati inviati risultano sbagliati? La responsabilità fiscale resta in capo al singolo contribuente, ma l’amministratore ha il compito di garantire una comunicazione corretta. In caso di dubbi, potrà segnalare il condomino come “caso particolare”. In questo modo, l’informazione verrà esclusa dalla precompilata e sarà il contribuente a doverla verificare manualmente.
Questo scenario rende evidente quanto oggi l’amministrazione condominiale non sia più una semplice attività gestionale, ma richieda attenzione, precisione e dialogo costante con i condomini. Un passaggio trascurato o un dato non aggiornato può comportare la perdita del beneficio o ritardi nella dichiarazione dei redditi.
E allora, meglio pensarci in anticipo. Anche perché dal 2026, le detrazioni scenderanno ancora: 36% per le abitazioni principali, 30% per tutte le altre. Meno margine, meno tempo. Agire oggi può evitare brutte sorprese domani.
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