In un mondo che lotta per far fronte ai cambiamenti climatici, gli investitori si domandano quale possa essere il destino del carbone.
Questa commodity che sembra destinata ad avere un ruolo sempre più marginale rientra di fatto dalla finestra compensando l’assenza di alternative.
È notizia di questi giorni che il governo francese incrementerà temporaneamente l’utilizzo di carbone durante l’inverno, per garantire l’approvvigionamento di elettricità. È quanto prevede un decreto pubblicato nella Gazzetta ufficiale.
La misura strettamente limitata ai mesi di gennaio e febbraio 2022 non cambia i piani sul lungo periodo della nazione, impregnata insieme all’Unione Europea per la chiusura delle centrali a carbone. La decisione arriva in un momento in cui la Francia non ha modo di sopperire alla diminuzione della fornitura di elettricità proveniente dal nucleare. Questa fonte non rinnovabile fornisce circa il 70% dell’elettricità francese ed è una delle energie alternative ai carburanti fossili che funge da compromesso in attesa dello sviluppo delle rinnovabili.
Secondo il testo pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, viene alzato il tetto di emissioni fino a una chilotonnellata fino alla fine di febbraio per coprire il picco di consumi invernale. Il presidente Emmanuel Macron aveva promesso di chiudere le ultime centrali a carbone entro il 2022. Il ministero della transizione ecologica assicura che l’obbiettivo verrà raggiunto nei tempi previsti. Nel 2024 il reattore nucleare Epr situato a Flamnville entrerà in servizio sopperendo anche a eventuali nuovi picchi della domanda.
La pressione dei prezzi delle materie prime soprattutto nel settore energetico, sta rivelando qualche ulteriore eccezione. La crisi energetica globale spinge a rialzo i prezzi del carbone che si aggiunge al costo delle centrali elettriche australiane.
Molte di queste che sono alimentate a carbone, hanno dichiarato che i prezzi al dettaglio hanno toccato i minimi degli otto anni, mentre i prezzi all’ingrosso nonché quelli dei contratti futuri hanno iniziato a salire in alcune parti del paese.
Il prezzo medio all’ingrosso nella rete della costa orientale durante gli ultimi tre mesi del 2021 è stato superiore del 30% rispetto allo stesso periodo del 2020. Al contempo i prezzi dei futures che vengono utilizzati dalle grandi imprese e dai rivenditori di energia elettrica sono aumentati di quasi il 25% durante l’ultimo trimestre. I prezzi vengono ora riportati al rialzo, in parte a causa dell’aumento dei costi di spedizione del carbone nero necessario ad alimentare le centrali elettriche.
Con il petrolio che si muove verso quello che sembra essere un prezzo molto vicino ai 100 dollari al barile, il carbone potrebbe non avere ancora esaurito la sua utilità come fonte fossile alternativa. Il carbone è stata una commodity importante fino ad alcuni decenni fa, ma ora fatica a tenere il passo delle evoluzioni socio economiche.
A questo punto solo la Cina, che ha utilizzato questa materia prima per alimentare a costi ridotti la crescita della sua industria, potrà in definitiva sancire la fine di un’era. Il mutamento dovuto alla modernizzazione del paese si sconta anche nell’affioramento di una sensibilità di tipo etico e ambientalista.
La Cina resta la patria di alcune aziende incredibilmente innovative, ad esempio nei videogiochi, nella mobilità elettrica e nelle industrie biofarmaceutiche. È molto probabile che il governo cinese continuerà sul lungo termine a mantenere i suoi impegni in tema di riforme.
Per quanto riguarda i suoi obbiettivi ecologici c’è ancora molto scetticismo sul reale impegno della Cina a cambiare e a mettere l’ambiente davanti all’economia. L’assenza del Presidente Xi Jinping alla COP26 ha mostrato quanto la Cina possa giocare sull’ambiguità delle sue posizioni. Il Paese si mostra piuttosto distaccato dagli sforzi globali, coordinati per affrontare il cambiamento climatico. Durante il vertice, tuttavia, la Cina e gli Stati Uniti hanno annunciato piani per cooperare, al fine di tagliare le emissioni di gas serra.
La direzione politica ufficiale del governo del Presidente Xi è infatti quella di fare delle politiche ambientali una priorità assoluta. Questo dovrebbe affiancarsi all’obbiettivo di rendere la Cina un paese moderno e modello per l’occidente, migliorando contestualmente la salubrità del suo territorio.
All’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2020, Xi ha annunciato due significative iniziative ambientali. In primo luogo, l’obiettivo di raggiungere il picco delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030. In secondo luogo, la transizione della Cina verso l’azzeramento delle emissioni inquinanti entro il 2060. Tali obiettivi richiederanno livelli senza precedenti in termini di pianificazione e investimento, di cui tuttavia il Governo cinese ha già dimostrato di essere capace.
Energia elettrica, presto sulla Terra cambieremo il modo di produrla
Al fine di soddisfare gli ambiziosi obiettivi del Presidente Xi, ci si aspetta concretamente l’introduzione di una nuova regolamentazione che coinvolgerà le aziende. Alcuni di questi sembrano già evidenti, come la percentuale delle aziende che nell’indice MSCI China All share riportano pubblicamente le proprie emissioni di carbonio. Essa è notevolmente aumentata arrivando al 43,7% riconoscendo l’importanza ora per le aziende di essere dalla parte giusta del cambiamento.
La Cina è responsabile di circa il 30% della produzione industriale mondiale, di conseguenza è ritenuta in grande considerazione per concretizzare gli sforzi globali verso la decarbonizzazione. Per contribuire significativamente alla riduzione globale delle emissioni di carbonio la Cina punta ad essere leader dell’energia pulita. L’obbiettivo è stato realizzato con lungimiranza accumulando conoscenze e asset per arrivare a essere il primo produttore al mondo di pannelli solari. La Cina è responsabile del 70% della produzione globale, nonché del 50% dei veicoli elettrici e del 33% delle turbine eoliche. Il Paese inoltre è in una posizione predominante nella catena di approvvigionamento per le materie prime necessarie per l’elettrificazione. Tra questi le terre rare come il cobalto, il litio e il rame.
Esistono almeno tre titoli legati al carbone che potrebbero generare anche in questo contesto rendimenti interessanti per gli investitori che vogliono scommettere sul ribasso di queste industrie.
Arch Resources: una società di estrazione del carbone che gestisce 30 miniere in tutto il Nord America. La società è stata costituita alla fine del 1960 ed è ora il secondo più grande produttore di carbone negli Stati Uniti.
L’azienda ha avuto una storia economica turbolenta, ha presentato istanza di fallimento nel 2016 ma è riuscita riportarsi in attività dopo il 2020 con un prezzo delle azioni tornato ai livelli del 2019. Sebbene sia difficile sostenere che il carbone possa generare guadagni sul lungo periodo, Arch Resources ha un posto di primo piano nell’industria estrattiva.
Warrior Met Coal: una società mineraria che produce carbone per l’industria siderurgica. Nata nel 2015 per rilevare le attività della fallita Walter Energy, l’azienda è una multinazionale con interessi economici nelle Americhe, in Europa e in Asia.
Ancora una volta come Arch Resources, Warrior Met ha avuto un momento difficile negli ultimi anni. Il prezzo delle sue azioni è rimasto in un range da quando la nuova società ha iniziato a offrire le proprie azioni nel 2017. Recentemente è stata coinvolta dagli scioperi dei propri lavoratori per la perdita di posti di lavoro e dei tagli ai bonus economici.
Se l’azienda è in grado di risolvere il problema di manodopera, è in grado di aumentare rapidamente la produzione. A questo punto potrebbe optare per riacquistare una parte delle proprie azioni che renderebbero Warrior Met una potenziale opportunità sia di acquisto che di vendita.
Consol è responsabile della più vasta rete di miniere di carbone negli Stati Uniti. La storia dell’azienda risale al 1864, ma esiste nella sua forma attuale solo dal 2017.
Come per molte aziende nel settore ha avuto negli ultimi anni diverse difficoltà economiche. Tra il 2019 e il 2020 il prezzo delle azioni ha registrato un profondo calo in linea con le depressioni del comparto energetico. Nel 2021 la società ha ripreso la sua solidità patrimoniale e grazie soprattutto grazie alle esportazioni il suo giro d’affari gli ha consentito di registrare ricavi dieci volte superiori rispetto all’anno precedente.
NACCO è una holding che possiede una rete di imprese nel settore energetico. Una di queste è impegnata nell’estrazione del carbone. Questo è il settore da cui l’azienda ha iniziato la sua attività economica nel lontano 1913.
NACCO Negli ultimi tempi, ha semplificato la sua attività per concentrarsi sull’estrazione mineraria. Ciò ha portato alla sua migliore performance sul mercato azionario nel 2019 con massimi di 60 dollari per azione. La società premia oggi gli azionisti con un buon dividendo annuale pari al 2,57
American Resources è una società con sede negli Stati Uniti la cui attività economica comprende l’intero ciclo di vita del carbone. Dall’estrazione mineraria, al trasporto e alla vendita l’azienda offre la materia prima all’industria siderurgica con clienti in tutto il mondo.
La società ha iniziato a negoziare le sue azioni nel 2015, ed è oggi scambiata con un prezzo inferiore del 80% rispetto al prezzo di allora pari a 18 dollari. L’azienda è attualmente impegnata in investimenti con la quale vuole favorire la sua riconversione industriale. American Resources punta a identificare minerali e fonti energetiche alternative ed ecologiche.
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