Può davvero un vecchio debito tornare a bussare alla porta dopo anni? È un pensiero che lascia un certo peso sullo stomaco, soprattutto quando si crede che il tempo abbia chiuso la questione. In realtà, dietro ogni richiesta di pagamento ci sono regole precise, ma non sempre così semplici come appaiono. A volte ciò che sembrava ormai finito può trasformarsi in una nuova preoccupazione, riportando in vita vecchie cartelle e riaccendendo timori sopiti. Quanto dura, davvero, il potere di una cartella esattoriale? E quali azioni possono allungarne la vita? Non si tratta solo di date, ma di notifiche, reazioni e scelte che possono fare la differenza tra un credito ormai spento e un nuovo incubo da affrontare. Questi meccanismi, spesso sottovalutati, segnano la linea tra chi riesce a difendersi e chi resta intrappolato in richieste che sembravano ormai sepolte.
Una lettera dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione può arrivare quando meno ci si aspetta, magari dopo anni di silenzio. L’effetto è destabilizzante: ci si trova a fare i conti con richieste che si credevano superate, che riemergono con la forza di un passato che non si era pronti a rivivere.

Il dubbio principale diventa se esista ancora margine per difendersi. È in questo contesto che il tempismo assume un peso enorme: capire quando un debito smette di essere esigibile e quando invece può tornare attuale diventa la chiave per non subire. Ogni notifica, ogni intimazione, ogni silenzio ha un significato che può cambiare il destino di una posizione debitoria, anche quando tutto sembrava concluso.
Perché i termini di prescrizione non bastano: il tempo si azzera con ogni atto notificato
Nel mondo dei debiti con la Pubblica Amministrazione, parlare di prescrizione significa affrontare una materia in cui il tempo non scorre mai in modo lineare. Per i tributi erariali, come IRPEF, IVA o imposte di successione, il termine è di dieci anni. Per imposte locali come IMU, TARI e TASI il limite scende a cinque anni, così come per i contributi previdenziali dovuti a INPS e INAIL.

Ma questo conto alla rovescia non parte dal momento in cui nasce il debito: decorre dal sessantunesimo giorno successivo alla notifica della cartella, cioè una volta scaduto il termine per pagare o contestare. Il problema è che ogni atto successivo fa ripartire da capo il conteggio: un sollecito, un’intimazione, un preavviso di pignoramento azzerano il tempo già trascorso. Così, un credito che sembrava ormai cancellato può riprendere vigore, rendendo vane le speranze di prescrizione. A complicare il quadro intervengono anche le sospensioni legali, come accaduto durante l’emergenza Covid, che hanno congelato i termini per lunghi periodi. Questo intreccio di notifiche, sospensioni e atti interruttivi rende la prescrizione una strategia complessa, più che una semplice scadenza temporale.
Perché i 60 giorni per impugnare un’intimazione possono cambiare il destino di un debito
Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 20476 del 30 luglio 2025) ha reso ancora più evidente il peso del tempismo: anche un debito prescritto può tornare a essere vincolante se non viene impugnata entro 60 giorni un’intimazione di pagamento. In altre parole, il silenzio del destinatario trasforma un atto che avrebbe potuto essere contestato in una richiesta definitiva e non più opponibile. È un concetto che sovverte l’idea che il tempo basti da solo a spegnere il credito e dimostra come ogni comunicazione ufficiale possa cambiare radicalmente la situazione. Valutare con attenzione ogni notifica diventa quindi essenziale. Non basta conoscere i termini di prescrizione: serve saper riconoscere quando è il momento di reagire, eventualmente con un ricorso o chiedendo l’annullamento in autotutela. Anche rateizzare il debito può essere una scelta utile per evitare pignoramenti e ulteriori complicazioni. In questo contesto, il supporto di un professionista diventa decisivo: ogni scelta mancata è un’occasione persa, e ogni atto non contestato può trasformarsi in un consenso implicito a pagare. Così, quei 60 giorni non sono solo un termine burocratico, ma il vero punto di svolta tra difendersi e soccombere.