Quando un immobile è in comproprietà, ciascun locatore può scegliere se applicare la cedolare secca o il regime ordinario alla propria quota. Tuttavia, se anche solo uno opta per la cedolare, tutti i comproprietari perdono il diritto di chiedere l’aggiornamento del canone. Un aspetto chiarito dall’Agenzia delle Entrate e disciplinato dal d.lgs. 23/2011 e dalla circolare 26/E 2011.
La scelta del regime fiscale sugli affitti è cruciale, perché influisce non solo sull’entità delle imposte da pagare ma anche sulla gestione del contratto di locazione. La cedolare secca, introdotta dal d.lgs. 23/2011, prevede un’imposta sostitutiva del 21% per i contratti a canone libero e del 10% per i contratti a canone concordato, eliminando l’obbligo di pagare l’imposta di registro e di bollo. Il regime ordinario, invece, tassa i canoni al 95% (66,5% per i contratti agevolati), con applicazione dell’Irpef progressiva e delle relative addizionali.

Inoltre, restano dovuti sia il bollo sia l’imposta di registro, pari al 2% annuo diviso con l’inquilino. La normativa offre quindi la possibilità di scelte distinte tra i comproprietari, ma introduce anche conseguenze comuni che vanno attentamente valutate.
Cedolare secca e regime ordinario: scelte distinte per i comproprietari
In caso di contitolarità, ogni locatore esercita la propria opzione in autonomia. Questo significa che uno può decidere di aderire alla cedolare secca mentre l’altro rimanere nel regime ordinario. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che questa libertà è pienamente ammessa. Facciamo un esempio: due comproprietari dividono al 50% un contratto di affitto da 12.000 € annui. Il primo sceglie la cedolare e pagherà il 21% su 6.000 €, quindi 1.260 €. Il secondo opta per l’ordinario e dovrà dichiarare 5.700 € (95% della sua quota) con le aliquote Irpef progressive, oltre a versare la sua parte di imposta di registro e bollo.

Questa differenziazione consente di adattare la scelta fiscale alla propria situazione personale. Ad esempio, chi ha altre fonti di reddito elevate può preferire la cedolare per evitare scaglioni Irpef più pesanti, mentre chi ha poche entrate e molte detrazioni può trarre vantaggio dal regime ordinario. La normativa, dunque, lascia margini di flessibilità, ma le conseguenze pratiche vanno valutate con attenzione, anche in relazione alle prospettive inflattive e alla durata della locazione.
Rinuncia agli aggiornamenti del canone: un effetto che si estende a tutti
L’aspetto più delicato riguarda l’adeguamento ISTAT del canone. La circolare 26/E 2011 ha stabilito che, se anche solo uno dei comproprietari sceglie la cedolare secca, la rinuncia agli aggiornamenti si estende a tutti i locatori. Questo significa che il contratto non potrà essere rivalutato, nemmeno per la quota di chi resta nel regime ordinario. In un contesto inflattivo, la mancata rivalutazione può avere un impatto significativo.
Per esempio, con un canone annuo di 12.000 € e un’inflazione del 3%, l’aumento potenziale perso equivale a 360 € l’anno. Moltiplicato per più anni di durata del contratto, la cifra diventa rilevante. Tuttavia, la cedolare consente un risparmio immediato eliminando l’imposta di registro e il bollo. Se consideriamo che l’imposta di registro in ordinario sarebbe il 2% del canone annuo, ossia 240 € divisi tra le parti, il vantaggio netto dipende dal bilanciamento tra risparmio fiscale e rinuncia alla rivalutazione del canone.
Gli esperti sottolineano quindi che la decisione deve essere ponderata tenendo conto non solo delle aliquote fiscali ma anche degli effetti contrattuali a lungo termine. La scelta di un comproprietario alla cedolare incide inevitabilmente anche sugli altri, come confermato dalle interpretazioni ufficiali dell’Agenzia delle Entrate.