Una nuova norma potrebbe cambiare drasticamente le regole del gioco per chi lavora nel pubblico. Non si tratta di una semplice trattenuta o di un errore nei conteggi: a partire dal 2026, chi ha debiti col Fisco rischia davvero il blocco dello stipendio. Basta superare una soglia ben precisa e, senza avvisi anticipati, si può dire addio a una parte della propria retribuzione. Il provvedimento non colpirà tutti in modo uguale. C’è una categoria che rischia più di altre.
Negli uffici se ne parla poco, ma la novità è già scritta nero su bianco nella Legge di Bilancio 2025. Un cambiamento profondo, che riguarda la gestione dei rapporti tra lavoratori pubblici e Stato. E no, non riguarda soltanto i grandi evasori. Spesso basta una cartella esattoriale non saldata, una multa dimenticata o un debito con l’Agenzia delle Entrate lasciato in sospeso.

La misura entrerà in vigore dal 1° gennaio 2026, anche se la sua origine è tutt’altro che recente. Il blocco dei pagamenti è già previsto per le imprese che forniscono beni o servizi alla pubblica amministrazione, ma ora lo stesso principio verrà esteso anche a chi riceve uno stipendio dallo Stato. Con effetti concreti e, in certi casi, anche piuttosto pesanti.
Chi rischia davvero il blocco dello stipendio nel pubblico impiego
Secondo quanto previsto dal nuovo comma 1-bis dell’articolo 48-bis del DPR 602/1973, il meccanismo si attiverà per chi percepisce uno stipendio lordo mensile superiore a 2.500 euro e ha debiti fiscali pari o superiori a 5.000 euro. In pratica, prima di ogni pagamento, la pubblica amministrazione dovrà verificare sulla piattaforma informatica dell’Agenzia delle Entrate se il lavoratore risulta moroso.

Nel caso emerga un debito non saldato, una parte dello stipendio verrà bloccata in automatico e trasferita all’agente della riscossione. La quota trattenuta sarà proporzionata al reddito e il blocco resterà attivo finché il debito non verrà estinto. Si tratta di un intervento che non prevede lunghe procedure giudiziarie, ma un sistema snello, immediato e digitalizzato.
L’obiettivo dichiarato è quello di rafforzare la lotta all’evasione fiscale, ma l’impatto sarà molto concreto per chi ha una situazione economica già fragile. Un caso pratico può aiutare a capire meglio: un dipendente pubblico con stipendio mensile lordo di 3.000 euro e una cartella esattoriale da 6.000 euro potrebbe vedersi trattenere ogni mese una parte dello stipendio, senza la possibilità di intervenire in tempo reale.
Perché tutto partirà dal 2026 e quali effetti avrà sul rapporto tra lavoratore e Stato
Il rinvio al 2026 è stato deciso per motivi tecnici. Serve tempo per aggiornare i sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni, formare il personale e testare le piattaforme di verifica. Il rischio, infatti, è che possano verificarsi errori, come il blocco degli stipendi a persone in regola o il mancato riconoscimento di pagamenti già effettuati.
Ma c’è anche un altro elemento da considerare. Con questa norma, il rapporto tra datore di lavoro pubblico e dipendente cambia profondamente. Lo Stato, in quanto creditore, potrà agire direttamente sulla busta paga dei suoi lavoratori, senza mediazioni giudiziarie. Questo può generare tensioni, specialmente nei casi in cui il debito sia contestato o non chiaro.
La misura potrebbe inoltre aprire la strada a futuri ampliamenti: un domani, potrebbe essere estesa ad altre categorie, oppure potrebbero cambiare le soglie. È un punto di partenza, ma anche un segnale. Il messaggio è chiaro: chi lavora nel pubblico non sarà più immune da controlli fiscali automatizzati. E questo potrebbe rappresentare un cambiamento culturale profondo.