Un piccolo dettaglio del contratto che potrebbe cambiare il modo in cui vengono vissute le ferie. Una recente decisione della Cassazione sta facendo tremare più di un’azienda, perché tocca un tema che finora era stato trattato con leggerezza. Chi pensava che i buoni pasto fossero solo un “extra” potrebbe ricredersi. E il diritto del lavoratore prende nuova forza anche nei giorni lontani dalla scrivania.
Ogni anno, con l’arrivo dell’estate, il pensiero corre subito alle ferie: prenotazioni, valigie e la speranza di staccare davvero la spina. Eppure, anche nel momento del riposo, c’è qualcosa che resta sul tavolo.

Anzi, che spesso sparisce dal tavolo. I buoni pasto, quei piccoli ma preziosi ticket che accompagnano le giornate lavorative, sembrano evaporare appena si va in ferie. Ma è davvero corretto?
Fino a poco tempo fa, nessuno si sarebbe posto la domanda. O almeno non in modo così acceso. Poi è arrivata l’ordinanza n. 25840 della Corte di Cassazione del 27 settembre 2024, che ha cambiato le carte in tavola. Il messaggio è chiaro: anche in ferie il lavoratore ha diritto alla stessa retribuzione globale, buoni pasto inclusi. Perché togliere parte del compenso durante le ferie significa, di fatto, rendere meno appetibile il diritto al riposo.
Quello che sembrava un dettaglio marginale si trasforma quindi in una questione di principio. E, come sempre, il cambiamento parte da una sentenza. Ma gli effetti possono essere molto più estesi di quanto si pensi.
I buoni pasto spettano anche in vacanza: cosa dice davvero la Cassazione e perché può cambiare tutto
Con l’ordinanza della Cassazione, il ticket mensa viene riconosciuto non solo come un supporto logistico, ma come parte integrante del pacchetto retributivo. La decisione riprende anche il principio espresso dalla Corte di Giustizia Europea: una retribuzione ridotta durante le ferie può scoraggiare il lavoratore dal prendersi il suo periodo di pausa, con conseguenze negative su salute e sicurezza.

Nel tempo, i buoni pasto sono stati spesso trattati come benefit accessori, sospendibili a discrezione del datore. Alcune sentenze precedenti avevano persino autorizzato la revoca unilaterale di questo beneficio, se le condizioni lavorative mutate non ne giustificavano più l’uso. Ma ora cambia tutto.
La sentenza del 2024 ribalta il paradigma: se un compenso viene erogato con regolarità durante le normali giornate di lavoro, allora deve esserlo anche nei giorni di ferie. Perché si parla di retribuzione globale, non solo di salario base. E la presenza costante del buono pasto lo rende parte di quella “normalità” che va tutelata.
Quando il buono pasto può essere sospeso: le eccezioni che restano valide nonostante il nuovo orientamento
Attenzione, però: non tutti i periodi di assenza dal lavoro danno automaticamente diritto ai ticket mensa. Restano validi alcuni casi in cui l’erogazione può essere sospesa. È il caso, ad esempio, di giornate di malattia, aspettativa, sciopero, congedo parentale o permessi della Legge 104. In tutte queste situazioni, la mancanza di prestazione lavorativa effettiva rende legittima la sospensione del buono.
Ma le ferie, a differenza di questi esempi, non sono un’interruzione straordinaria: sono parte della vita lavorativa ordinaria. Per questo la Cassazione insiste nel ritenere che anche durante il periodo di riposo debba essere garantita l’integrità del pacchetto retributivo, altrimenti si rischia di creare una discriminazione indiretta, scoraggiando il lavoratore dal prendersi il suo diritto al riposo.
Il quadro normativo attuale va dunque letto con attenzione, considerando sia i contratti collettivi di settore che le nuove indicazioni della giurisprudenza. I datori di lavoro dovranno rivedere con cura le proprie policy interne, evitando automatismi che potrebbero rivelarsi illegittimi. Perché quel piccolo ticket da pochi euro al giorno, in realtà, può valere molto di più di quanto sembri.