Un riscatto della laurea a soli 900 euro l’anno sembra troppo bello per essere vero. Eppure, una proposta in discussione al Senato promette proprio questo. L’idea ha acceso l’interesse di migliaia di insegnanti, ricercatori e personale ATA. Ma il beneficio non è per tutti. Ci sono limiti precisi e condizioni da rispettare. Per capire se questa misura può davvero cambiare le regole del gioco, è necessario guardare più da vicino chi può beneficiarne e cosa cambia rispetto alle regole attuali.
Negli ultimi anni si è parlato spesso del riscatto agevolato della laurea, un’opportunità per trasformare gli anni di studio universitario in contributi utili per la pensione. Il tema è tornato alla ribalta con una proposta presentata in Senato dalla senatrice Carmela Bucalo, che ridurrebbe l’onere a circa 900 euro l’anno. Ma non si tratta di un provvedimento in vigore: è ancora solo una proposta di legge.
Oggi, il costo medio per riscattare un anno di studi universitari varia in base al reddito e può risultare molto oneroso. Secondo i calcoli ufficiali dell’INPS, per chi è nel sistema retributivo o misto, il riscatto ordinario viene calcolato sull’ultima retribuzione percepita. Questo può portare a un costo compreso tra 5.000 e oltre 11.000 euro per ogni anno, a seconda del reddito. Nel caso del riscatto agevolato introdotto nel 2019 per i soli contributivi puri (ovvero chi ha iniziato a lavorare dal 1996 in poi), il costo si abbassa, ma resta comunque attorno ai 6.077 euro annui, perché si basa sul minimale contributivo con un’aliquota del 33%.
La proposta Bucalo punta a ridurre ulteriormente l’aliquota, portandola al 5%. Applicata al minimale INPS attuale, questo significherebbe pagare circa 911 euro l’anno per riscattare la durata legale del corso di laurea. Un corso quinquennale, quindi, verrebbe a costare meno di 5.000 euro in totale, contro i circa 30.000 euro previsti oggi. Tuttavia, non tutti possono accedere a questa misura.
Il disegno di legge si rivolge esclusivamente al personale del comparto istruzione e ricerca, includendo docenti della scuola statale, personale ATA, universitari, ricercatori e operatori di enti pubblici come conservatori e accademie. Una condizione imprescindibile è che l’interessato sia iscritto nel sistema contributivo puro: chi ha contributi versati prima del 1° gennaio 1996 resta fuori.
Il riscatto coprirebbe solo gli anni della durata legale del corso, a condizione che in quel periodo non siano stati versati contributi da lavoro. Servono documenti precisi: certificato con gli anni di corso e estratto conto INPS aggiornato per escludere sovrapposizioni. La domanda si presenta tramite il portale INPS, seguendo le modalità già previste per il riscatto ordinario.
Questa possibile riforma è vista come un’opportunità concreta per valorizzare anni spesso trascurati, soprattutto da chi lavora nella scuola e nella ricerca, settori dove il salario medio è basso e le prospettive pensionistiche sono lontane. Riscattare la laurea con meno di 1.000 euro l’anno potrebbe anticipare l’accesso alla pensione, dare maggiore dignità ai percorsi di studio e, indirettamente, favorire il ricambio generazionale.
Organizzazioni come ANIEF hanno spinto per un riscatto sostenibile, denunciando come gli attuali costi siano inaccessibili per la maggior parte del personale scolastico. La misura, oltre a rappresentare un vantaggio individuale, è considerata un investimento sul sistema, perché permetterebbe di programmare meglio le uscite e alleggerire il carico di lavoro di chi rimane.
Resta il fatto che la proposta deve ancora diventare legge. Nel frattempo, chi valuta il riscatto può già accedere all’opzione agevolata 2019, ma solo se rientra nei criteri del sistema contributivo. In ogni caso, è bene consultare l’INPS o un patronato per capire le possibilità concrete.
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