Molti italiani credono che basti apporre due firme su un contratto di conto corrente per diventare automaticamente proprietari “a metà” del denaro.
La legge segue una logica completamente diversa: la vera titolarità delle somme dipende da chi le genera, non da chi compare sull’intestazione.
Comprendere questo meccanismo evita errori costosi, soprattutto quando il denaro serve per gestire un familiare oppure diventa oggetto di discussione in una successione. In effetti, la cointestazione appare semplice, ma dietro la sua comodità operativa si nasconde una disciplina che tutela la provenienza delle somme più della forma del rapporto bancario. Nel panorama della gestione finanziaria domestica, il conto cointestato rappresenta spesso una soluzione funzionale per affrontare pagamenti, spese impreviste e assistenza a persone fragili. Capire come si distribuiscono realmente i diritti sul denaro non significa solo conoscere la norma, ma prevenire conflitti e fraintendimenti quando entra in gioco la successione o quando un familiare assume la gestione delle spese quotidiane. È in questo spazio, a metà tra esigenze concrete e regole giuridiche, che la cointestazione rivela la sua vera natura.
A differenza di quanto si immagina, un conto corrente cointestato non crea automaticamente una comproprietà del denaro. L’intestazione con due nomi permette a entrambi di movimentare il conto, ma non determina in modo automatico che il patrimonio sia diviso al 50%. Il diritto guarda prima alla provenienza effettiva delle somme, e solo dopo considera la forma del rapporto bancario.
Quando il denaro arriva da una sola persona, il titolare sostanziale rimane proprio chi lo versa. L’altro cointestatario può gestire operazioni quotidiane, prelevare, pagare bollette o assistere un congiunto anziano, ma l’accesso operativo non equivale alla nascita di un diritto patrimoniale. In questo caso la cointestazione funziona come una delega mascherata da comodità, utile a semplificare la gestione, non a trasferire ricchezza.
Se non esiste prova di un contributo economico dell’altro intestatario, non si può parlare di comproprietà. Quando il soggetto che ha alimentato il conto viene a mancare, l’intero saldo confluisce nell’asse ereditario e si divide tra gli eredi secondo le normali regole della successione, indipendentemente dal fatto che il conto fosse cointestato.
La presenza del secondo nome non crea diritti di quota: solo la dimostrazione concreta di versamenti effettuati da entrambe le parti può trasformare la cointestazione da semplice strumento operativo in una reale comproprietà delle somme.
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