Una sentenza destinata a fare discutere e per certi versi a mettere in pericolo anni e anni di lotta all’evasione fiscale.
Si tratta di una recentissima sentenza della Corte di Cassazione che ha già creato polemiche da parte di chi combatte ogni giorno l’evasione fiscale. Una storia vera recentemente dibattuta.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16795 depositata il 23 giugno 2025, ha stabilito un principio che potrebbe avere conseguenze pesantissime per chi combatte l’evasione fiscale: l’accertamento IVA per incassi in nero può essere annullato se un professionista (in questo caso un avvocato), in sede di verifica da parte della Guardia di Finanza, oppone il segreto professionale sui documenti di contabilità parallela. Non basterà più un’ autorizzazione della Procura. Quindi i professionisti potranno liberamente evadere le tasse? Meglio non generalizzare anche se la sentenza porta a pensarlo.
La pronuncia della Cassazione, ha accolto il ricorso di un professionista. La Sezione Tributaria ha esaminato le norme relative agli accessi destinati all’esercizio di attività professionale. In base a queste, qualora i verificatori intendano procedere all’esame di documenti per i quali sia stato eccepito il segreto professionale, devono munirsi dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o, in alternativa, dell’autorità giudiziaria più vicina.
I documenti di cui stiamo parlando, erano stati esaminati nel corso di un accesso presso lo studio dell’avvocato. Qui era stato regolarmente esposto il segreto professionale.
Secondo gli Ermellini, per poterli esaminare, la stessa Guardia di Finanza avrebbe dovuto ottenere un’autorizzazione “ad hoc” prevista dal comma 3 dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 (meglio noto come “Testo Unico IVA”). Ma cosa vuol dire ad hoc? La Cassazione ha precisato che l’autorizzazione “ad hoc” deve essere necessariamente correlata all’esigenza di “esplicitare l’avvenuta comparativa valutazione delle contrapposte ragioni offerte dalle parti”. Quindi è l’autorità giudiziaria a dovere motivare i motivi per i quali il professionista ha opposto il segreto professionale, e, al tempo stesso, le ragioni che, secondo chi verifica, rendono necessari e indispensabili, ai fini della verifica fiscale in atto, l’esame dei documenti e l’acquisizione delle notizie “secretate”.
Dunque non basterà più un generico riferimento alla necessità dell’accertamento. Il Fisco dovrà dimostrare in modo puntuale perché proprio quei documenti specifici, coperti dal segreto professionale, siano indispensabili per la verifica fiscale. La sentenza, come era facilmente immaginabile, apre un dibattito complesso e delicato. Da un lato, rafforza la tutela del segreto professionale ma dall’altro solleva interrogativi sull’efficacia degli strumenti di contrasto all’evasione fiscale, specialmente quando si tratta di professionisti che, per la natura della loro attività, gestiscono informazioni sensibili e hanno la possibilità di eccepire il segreto professionale su una parte della loro documentazione contabile.
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