Ricariche auto elettriche aziendali, fringe benefit e controlli fiscali: non è solo una questione tecnica. Le nuove indicazioni dell’Agenzia delle Entrate accendono i riflettori su un punto chiave per chi utilizza veicoli aziendali a batteria. Tra card per le colonnine pubbliche e limiti d’uso personale, l’uso promiscuo delle auto green sta cambiando volto. E le implicazioni fiscali potrebbero sorprenderti più di quanto immagini. Una recente risposta ufficiale ha finalmente sciolto alcuni dubbi. Ma il tema resta delicato, soprattutto per le aziende che vogliono restare in regola.
Sempre più aziende affidano ai propri dipendenti veicoli elettrici o ibridi plug-in, spesso concessi per un uso promiscuo, cioè sia lavorativo che personale. Una scelta che parla di sostenibilità e innovazione, ma che pone anche alcune domande importanti, soprattutto quando si entra nel campo della fiscalità. Il nodo principale? Le ricariche effettuate presso colonnine pubbliche tramite card aziendali. Sono considerate carburante? E se sì, generano reddito imponibile?

L’interpello n. 237/E del 10 settembre 2025 ha fatto chiarezza, rispondendo a quesiti concreti posti da una società intenzionata a offrire ai propri dipendenti una card per la ricarica, anche per l’uso privato dell’auto. Un tema che riguarda da vicino lavoratori, uffici HR e consulenti fiscali, perché si muove sulla sottile linea che separa il fringe benefit dalla tassazione ordinaria. E le risposte fornite dall’Agenzia delle Entrate segnano un punto di svolta.
Card di ricarica e fringe benefit: cosa dice davvero il fisco
Quando un lavoratore utilizza una card aziendale per ricaricare un’auto elettrica o ibrida concessa in uso promiscuo, il valore dell’energia erogata non genera reddito imponibile. Il motivo è semplice: l’energia elettrica, in questo contesto, è assimilata al carburante e, come tale, già inclusa nella determinazione forfetaria del benefit prevista dall’articolo 51, comma 4, lettera a), del Tuir.

Il calcolo si basa sulle tabelle ACI, che definiscono un costo chilometrico medio per ogni modello, considerando anche il tipo di alimentazione. Per i veicoli elettrici, il valore dell’elettricità è compreso nella quota forfetaria. Dunque, se l’azienda mette a disposizione una card per ricaricare l’auto presso colonnine pubbliche, non si aggiunge nulla alla base imponibile del dipendente. Un esempio? Un lavoratore che usa la card per ricaricare la propria auto aziendale anche nel weekend non vedrà aumentare il proprio reddito da lavoro dipendente, a patto che resti nei limiti fissati dal contratto aziendale.
Altra cosa è il rimborso monetario per le ricariche effettuate a casa: in quel caso, il contributo erogato dal datore di lavoro diventa reddito tassabile, poiché rappresenta una somma di denaro e non un servizio fornito direttamente dall’azienda.
Limiti d’uso e addebiti: nessuna riduzione sulla quota tassabile
Il secondo nodo affrontato riguarda il superamento dei chilometri previsti per l’uso privato. Alcune aziende stabiliscono un tetto massimo e, in caso di sforamento, addebitano al dipendente la differenza, spesso calcolata in base al costo dell’energia. Tuttavia, queste somme non possono essere portate in diminuzione del fringe benefit tassabile.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, il sistema forfetario previsto dall’articolo 51, comma 4, lettera a), è rigido: non conta quanto il dipendente spenda davvero, ma solo il costo standard previsto dalle tabelle ACI. Anche se l’azienda fattura l’eccesso e il lavoratore lo paga, la base imponibile non cambia.
Questo aspetto può sembrare penalizzante, ma risponde all’esigenza di semplificare il sistema. In ogni caso, è fondamentale che le regole aziendali siano chiare e che vengano definite in anticipo, così da evitare incomprensioni e contestazioni. La gestione dell’auto aziendale elettrica diventa così un equilibrio tra sostenibilità, efficienza e corretta applicazione fiscale.