Può una rinuncia all’eredità davvero mettere al sicuro dai debiti? E se dietro quella scelta ci fossero dei creditori pronti a reagire? A volte, ciò che sembra una via di fuga può trasformarsi in un vicolo cieco.
I debiti non spariscono con una firma, e certe decisioni rischiano di riaprire conti che si pensavano chiusi. Succede più spesso di quanto si creda, e i margini di manovra sono meno ampi di quanto appaiano.

Chi eredita non prende solo i beni, ma anche gli oneri. E quando il patrimonio del defunto è indebitato, la rinuncia all’eredità sembra una scelta logica. Così facendo, si evita di accollarsi passività potenzialmente pesanti. Ma cosa succede se chi rinuncia è a sua volta debitore? E se la rinuncia fosse solo un modo per non far cadere quei beni nelle mani dei propri creditori?
In casi simili, la legge non resta a guardare. Esiste una norma ben precisa, l’articolo 524 del Codice civile, che offre ai creditori del rinunciante uno strumento efficace per tutelarsi. Non sempre chi rinuncia all’eredità può dormire sonni tranquilli. In determinate condizioni, la sua scelta può essere messa in discussione.
Quando i creditori possono impugnare la rinuncia all’eredità
L’impugnazione della rinuncia all’eredità da parte dei creditori è possibile quando quella scelta risulta lesiva dei loro diritti. Non basta il sospetto: devono esserci prove concrete che dimostrino un danno. In pratica, se il debitore non possiede altri beni pignorabili e l’eredità conteneva un valore positivo, i creditori possono rivolgersi al giudice. Se ottengono il via libera, possono accettare l’eredità al posto del rinunciante, ma solo con beneficio d’inventario. Non diventano eredi, ma possono recuperare quanto dovuto.

Il giudice non autorizza questa azione alla leggera. Bisogna dimostrare che la rinuncia ha reso difficile o impossibile il soddisfacimento dei crediti. Inoltre, l’azione deve essere esercitata entro cinque anni dalla rinuncia. Questo strumento non coinvolge i chiamati successivi, come i figli, ma questi ultimi possono intervenire nel procedimento, specie se ne derivano effetti patrimoniali diretti.
È importante chiarire che non si tratta di una revoca vera e propria. I creditori non annullano la rinuncia, ma si sostituiscono temporaneamente al rinunciante per tutelare il loro credito. Tutto avviene sotto controllo giudiziario, e solo se sussistono le condizioni previste dalla legge.
Rinuncia strategica a favore dei figli? Non sempre funziona
Un caso frequente è quello in cui il debitore rinuncia all’eredità per farla arrivare direttamente ai figli, sperando che i creditori non possano toccarla. Ma questa strategia può rivelarsi pericolosa. Se la rinuncia viene percepita come una manovra elusiva, i creditori possono intervenire. Non conta l’intento dichiarato, ma gli effetti concreti: se la scelta priva i creditori dell’unico patrimonio aggredibile, può essere impugnata.
Per evitare problemi, è possibile optare per l’accettazione con beneficio d’inventario, una forma che separa i debiti del defunto da quelli dell’erede. In questo modo si limitano i rischi personali, pur accettando l’eredità. In alternativa, si può cercare un accordo con i creditori, magari proponendo un piano di rientro, per evitare il contenzioso.
Alla fine, più che nascondere i beni, conviene affrontare la situazione con lucidità. Anche perché la legge sa riconoscere le mosse fatte in mala fede. E, quando accade, il conto può tornare a presentarsi, più salato di prima.