Tenere Bitcoin, Ethereum o altre criptovalute su wallet o exchange esteri non basta più per stare tranquilli. Anche senza vendere o guadagnare, chi possiede criptoattività è ora obbligato a dichiararle ogni anno al Fisco italiano. Le nuove regole entrate in vigore nel 2025 hanno reso tutto più stringente. E non sapere più “quanto” si possiede, non è una giustificazione.
Per molti anni, tanti italiani hanno custodito in silenzio i propri asset digitali. Alcuni lo hanno fatto per convinzione, altri per dimenticanza o disinteresse. In fondo, se non hai mai venduto, non hai guadagnato, giusto? E se non hai guadagnato, non devi niente a nessuno. Almeno così si credeva.

Ma oggi le cose sono cambiate. E chi ha lasciato le criptovalute lì dove stavano, senza mai dichiararle, rischia grosso.
Dal 2025, con l’entrata in vigore della nuova Legge di Bilancio, il Fisco ha stretto il cerchio. Non importa se i tuoi asset sono piccoli o se non li hai mai mossi. Se hai criptoattività in un exchange estero o in un wallet digitale, sei tenuto a dichiararle ogni anno nel quadro RW della dichiarazione dei redditi.
Anche senza guadagno, la dichiarazione è obbligatoria: lo dice la legge
Secondo l’Agenzia delle Entrate, le criptovalute sono considerate a tutti gli effetti “attività estere di natura finanziaria”. Questo significa che, anche se non generano profitti, vanno comunque monitorate fiscalmente. E ciò si fa attraverso la compilazione del quadro RW.

Non esistono soglie minime come accade per i conti bancari esteri: anche se hai solo 200 euro in Bitcoin, devi comunque segnalarli. L’errore di tanti è stato quello di ignorare questo obbligo, convinti che finché non si monetizza nulla, non si devono fare comunicazioni. Ma ora la normativa è molto chiara.
Le sanzioni per la mancata dichiarazione vanno dal 3% al 15% del valore non indicato, e possono salire fino al 30% se l’exchange si trova in un Paese a fiscalità privilegiata. È però possibile ridurre l’importo sfruttando il ravvedimento operoso, se ci si muove prima di ricevere un accertamento.
Un’ulteriore novità è che, dal 1° gennaio 2025, è stata abolita la soglia di 2.000 euro per la tassazione delle plusvalenze. Ora ogni guadagno, anche minimo, ottenuto dalla vendita o dallo scambio di criptoattività è tassabile al 26%. Dal 2026 l’aliquota salirà al 33%, rendendo ancora più importante gestire tutto in modo corretto già da ora.
Come regolarizzarsi e perché conviene agire entro il 2025
Per chi ha omesso la dichiarazione negli anni passati, è ancora possibile mettersi in regola presentando una dichiarazione integrativa. Bisogna correggere i modelli Redditi PF degli anni precedenti, compilare correttamente il quadro RW e, se presenti, anche il quadro RT per indicare eventuali plusvalenze non dichiarate.
Se le criptovalute sono su exchange europei, la sanzione per l’omesso monitoraggio si riduce allo 0,5% annuo sul valore non dichiarato. Se invece si trovano in exchange extra-UE, si applica una sanzione del 3%. E tutto questo vale finché non arriva una comunicazione ufficiale dall’Agenzia delle Entrate: dopo, le sanzioni saranno molto più alte.
Un’opportunità concreta per chi vuole evitare una stangata futura è la rivalutazione del valore di acquisto. Fino al 30 novembre 2025, puoi scegliere di assumere il valore delle tue criptovalute al 1° gennaio 2025 come nuovo valore di carico fiscale, pagando un’imposta sostitutiva del 18%. È un modo per ridurre il peso della tassazione futura, specialmente considerando che nel 2026 salirà al 33%.
Il consiglio, in ogni caso, è di non improvvisare. Ricostruire correttamente il valore delle cripto detenute, giorno per giorno, non è semplice. Se hai molti movimenti o più wallet, valuta seriamente l’assistenza di un professionista esperto in fiscalità digitale. Le regole cambiano in fretta, e sbagliare in buona fede non basta a evitare i problemi.