Una semplice bolletta condominiale può trasformarsi in una guerra legale se l’amministratore non individua correttamente il vero proprietario dell’appartamento. Il rischio? Richiedere soldi alla persona sbagliata. In molte separazioni o divorzi, chi vive nella casa non è chi deve pagare.
Sembra una di quelle sottigliezze da avvocati, ma quando arrivano gli avvisi di pagamento, la questione diventa molto concreta. Il recupero delle spese condominiali, in questi casi, ha delle regole precise che spesso vengono ignorate. E le conseguenze possono essere più serie del previsto.

Capita spesso che, dopo una separazione, uno dei due ex coniugi resti a vivere nella casa di famiglia, magari con i figli. La proprietà però resta all’altro. In questo scenario già delicato, arriva puntuale l’amministratore con le sue richieste. Il problema nasce quando si confonde chi vive nell’appartamento con chi è legalmente obbligato a pagare. Una distrazione? Forse. Ma la legge è chiarissima: non si possono chiedere contributi a chi non è proprietario.
La recente sentenza del Tribunale di Roma ha messo nero su bianco una questione che molti ignoravano: l’amministratore può riscuotere le spese condominiali ordinarie solo dal vero titolare dell’immobile, non dall’assegnatario della casa familiare. È un chiarimento che cambia tutto, e che molti amministratori, e anche qualche condomino, farebbero bene a ricordare.
Pagare per una casa che non è tua? Quando l’amministratore bussa alla porta sbagliata
Nessuno lo dice ad alta voce, ma l’errore più comune nei condomini è dare per scontato che chi abita un appartamento ne sia anche il proprietario. Soprattutto dopo una separazione, questo equivoco può portare a situazioni imbarazzanti e costose. Il punto è semplice: il diritto di abitare una casa non è lo stesso del diritto di possederla. Per il recupero delle spese condominiali, questa differenza fa tutta la differenza.

La sentenza del Tribunale di Roma del 2024 (13632/2024) ha fatto cadere un decreto ingiuntivo indirizzato alla ex moglie che viveva nella casa coniugale, chiarendo che il vero soggetto obbligato era l’ex marito, proprietario dell’immobile. Anche la Corte di Cassazione, già nel 2022, aveva detto la stessa cosa: le spese comuni vanno chieste al proprietario o a chi ha un diritto reale sull’appartamento.
Eppure, molti amministratori continuano a inviare solleciti all’assegnatario della casa familiare. A quel punto, non resta che finire davanti a un giudice. Ma tutto questo si potrebbe evitare con un po’ di attenzione. Come? Tenendo aggiornato il registro di anagrafe condominiale, dove vanno indicati chiaramente i proprietari e i titolari di diritti reali. Un registro vecchio o incompleto è un problema che rischia di far cadere ogni richiesta di pagamento nel vuoto.
Separati e con il conto da pagare: quando vivere in una casa non basta per dover contribuire
Una delle situazioni più spinose riguarda proprio chi, dopo la separazione, continua a vivere nella casa di famiglia senza esserne proprietario. In questi casi, le spese straordinarie restano a carico del proprietario, mentre per quelle ordinarie, come la pulizia delle scale o l’illuminazione, si può valutare caso per caso. Ma la regola base non cambia: chi non ha un diritto reale sull’appartamento non può essere legalmente obbligato a versare quote condominiali.
Questa posizione tutela chi abita, spesso con figli, in una casa assegnata dal giudice. E obbliga l’amministratore a fare bene i compiti: nessuna scorciatoia, nessun automatismo. Solo chi ha davvero titolarità sull’immobile può essere chiamato a rispondere delle spese. Non è solo una questione di giustizia, ma di correttezza giuridica. E alla fine, anche di buon senso.