E se mentre stai aiutando un familiare disabile, potresti finire nei guai solo per aver fatto una spesa o accompagnato quella persona a un evento? Fabio e Serena vivevano con questa paura.
Ogni volta che prendevano un permesso con la Legge 104, il dubbio era sempre lo stesso: “Stiamo davvero facendo la cosa giusta?” Ora una sentenza della Corte dà una risposta più umana e concreta a questo tipo di domande, cambiando le carte in tavola per tante famiglie italiane.
Serena lavora come impiegata in un’azienda di servizi. Fabio è figlio unico e da tre anni si prende cura della madre, colpita da una malattia neurodegenerativa. I permessi previsti dalla Legge 104 sono diventati per loro un’ancora di salvezza, ma anche una fonte costante di preoccupazione. Ogni volta che Fabio si assentava per assistere la madre, il pensiero era sempre lì: “E se qualcuno mi vede mentre faccio altro? E se pensano che sto abusando del permesso?”
A farli riflettere davvero è stato un episodio che sembrava insignificante: Fabio, durante una giornata di permesso, aveva accompagnato la madre a una funzione religiosa nel quartiere. Tornato a casa, si è chiesto se quel gesto, semplice, umano, potesse essere interpretato male. Non c’erano risposte chiare, solo tanta confusione. Fino a quando, nel gennaio 2025, la Corte di Cassazione ha messo nero su bianco un principio importante.
Con l’Ordinanza n. 1227/2025, la Corte ha stabilito che non costituisce abuso dei permessi Legge 104 svolgere attività come fare la spesa, acquistare medicinali o accompagnare il familiare disabile ad eventi sociali. A patto che queste azioni siano funzionali all’assistenza, cioè davvero utili a migliorare la qualità della vita della persona assistita.
Nel caso di Fabio e Serena, è stato un vero sollievo. “Non stavamo facendo nulla di male,” racconta Serena, “ma ci sembrava di vivere con il fiato sul collo. Questa sentenza ci ha fatto sentire finalmente legittimati a vivere l’assistenza con umanità”. E proprio l’umanità sembra essere la parola chiave: assistere non è solo restare accanto, ma anche garantire piccoli gesti che aiutino a vivere meglio.
L’ordinanza invita tutti a una riflessione: non si può pretendere che l’assistenza sia fatta solo di presenza continua e statica. Serve buon senso e serve riconoscere che aiutare significa anche accompagnare a un’attività sociale, comprare il necessario o persino prendersi una breve pausa se serve a reggere il peso emotivo dell’assistenza.
Non è un via libera agli abusi. È una difesa della dignità di chi assiste e di chi è assistito. Perché prendersi cura di qualcuno non può essere vissuto con paura o ansia costante. E forse, come suggerisce la storia di Fabio e Serena, il modo più corretto di aiutare non è quello perfetto, ma quello fatto con coscienza e cuore.
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