Cosa succede quando un diritto viene ignorato per anni? Chi lavora in una scuola lo sa bene. Una sentenza recente ha riaperto una questione mai veramente chiusa: il nodo delle ferie non godute dei docenti precari. Un problema rimasto troppo spesso sottotraccia, ma che ora torna con forza al centro del dibattito.
Si parla di giustizia, di tutele fondamentali e di un principio che potrebbe cambiare molte cose. Dentro una semplice ordinanza, si nasconde qualcosa di molto più grande. E chi ha avuto contratti a termine nella scuola farebbe bene a prestare attenzione. Perché, in certi casi, basta una firma per cambiare una storia. Anche la propria.

In certi ambienti lavorativi, alcuni diritti vengono trattati come se fossero facoltativi. Come se bastasse un contratto a termine per trasformare un diritto in un privilegio. Tra i corridoi delle scuole italiane, questa sensazione ha accompagnato per anni chi ha svolto incarichi brevi. Le ferie maturate spesso finivano nel vuoto. Nessuna comunicazione, nessuna indicazione, nessun pagamento. Eppure si trattava di tempo guadagnato in classe, tra lezioni e riunioni. Tempo che spettava.
Molti insegnanti a contratto si sono visti negare la monetizzazione delle ferie solo perché nessuno aveva detto loro come e quando fruirne. Adesso qualcosa cambia. La sentenza sulle ferie dei docenti precari firmata dalla Corte di Cassazione introduce un elemento forte: le ferie non sono una gentile concessione. Sono un diritto pieno. Anche per chi ha un contratto di pochi mesi.
Una svolta dalla Cassazione: il diritto resta, anche se non richiesto
Con l’ordinanza n. 11968 del 7 maggio 2025, la Corte di Cassazione ha affermato un principio chiaro: anche chi lavora nella scuola con un contratto a tempo determinato ha pieno diritto al pagamento delle ferie non godute. Non può essere escluso solo perché il contratto è terminato o perché il docente non ha formalizzato una richiesta.

A fare la differenza è la comunicazione. È l’amministrazione scolastica, infatti, ad avere l’obbligo di dimostrare di aver informato il lavoratore in modo chiaro e per iscritto. Deve essere indicato quando sarebbe stato possibile prendere le ferie, durante le sospensioni didattiche, e deve essere specificato cosa sarebbe accaduto in caso di mancato utilizzo. Se questa documentazione manca, il lavoratore ha diritto al pagamento.
Il principio si lega a una regola europea fondamentale: un diritto non può essere perso se non è stato concretamente possibile esercitarlo. E se la normativa italiana tende a vietare la monetizzazione delle ferie nella pubblica amministrazione, il diritto comunitario ha la precedenza, specialmente su aspetti che riguardano salute e recupero psico-fisico.
Conseguenze per le scuole e nuova consapevolezza per i docenti
Non si tratta solo di teoria. La nota del Ministero dell’Istruzione e del Merito del 27 marzo 2025 ha confermato questa interpretazione, richiamando i dirigenti scolastici ai loro obblighi formali. Il pagamento delle ferie residue dei docenti precari è dovuto ogni volta che non sia documentabile l’invito alla fruizione.
Per il calcolo, si parte da 30 o 32 giorni l’anno, proporzionati in base ai giorni effettivi di servizio. Vanno sottratti quelli goduti e quelli durante le sospensioni. Se il saldo resta, va pagato. Questo vale anche per contratti passati, purché non siano trascorsi più di dieci anni.
Una svolta importante, che dà voce a chi per troppo tempo è rimasto in silenzio. Chi ha lavorato per mesi, senza vacanze e senza compensi per i giorni maturati, ora può rivalutare ciò che gli spetta. E magari, per la prima volta, sentire che quel lavoro ha avuto davvero il riconoscimento che meritava.