Sale lievemente il prezzo di grano e delle altre materie prime agricole a seguito dello stop alle esportazioni dal Mar Nero imposto dalla Russia.
La scorsa settimana il prezzo del frumento sui mercati internazionali ha segnato rialzi in media del 5,7%.
A segnare i maggiori incrementi le materie prime agricole provenienti dal mercato russo ucraino; mais, olio e semi di soia e riso che registrano aumenti superiori all’1%.
Naturalmente con la prosecuzione delle ostilità sul campo di battaglia, anche la guerra commerciale non poteva che inasprirsi. I risvolti e le ricadute del conflitto si scontano così sulle risorse primarie come le materie prime agricole. Il ricatto sul grano può essere più pericoloso di quello sul gas? Per il momento non sembra così.
Nessuno si sorprende che le navi che attraversano il Mar Nero, possano subire danni considerando il notevole traffico e le ostilità estese ormai a ogni campo della vita delle due nazioni in guerra. Ogni rappresaglia sembra lecita per evitare un attacco diretto di tipo bellico portato avanti con tutto l’arsenale disponibile.
Se il flusso che passa per il Bosforo dovesse interrompersi, si potrebbe immediatamente aprire uno scenario di crisi alimentare; assorbire il fabbisogno alimentare di grano non è così semplice. Le fonti di approvvigionamento sono molto più diffuse ma tutto ciò può incidere sui prezzi e ancora una volta sulla capacità del comparto alimentare di mantenersi profittevole.
Già a giugno i coltivatori di riso erano scesi in piazza in alcune città italiane come Milano per protestare contro le importazioni a basso costo provenienti dall’Asia. Gli agricoltori, provenienti da tutta la Lombardia hanno messo in luce il pericolo corso dalla filiera italiana del riso.
Già allora dall’inizio della crisi commerciale con la Russia risultava chiusa una azienda di riso su 5. Nelle piazze di città, dalla Lombardia al Veneto, dal Piemonte all’Emilia fino in Sardegna è stato messo in luce il rischio di estinzione di una coltivazione “importante per la salute, il territorio e l’occupazione”.
L’Italia, tuttavia, non è in pericolo dal punto di vista degli approvvigionamenti. Il nostro paese rimane il primo produttore europeo di riso per una coltivazione che si estende su 216 mila ettari. Insomma, le conseguenze sulle nostre tasche possono essere evitate sostenendo la produzione nazionale e incentivando il recupero delle attività abbandonate.
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