Quando si scrivono messaggi Whatsapp bisogna fare massima attenzione alle parole, soprattutto se si parla di chat aziendali. Ecco i rischi.
Whatsapp è diventata la prima app di messaggistica istantanea e, ormai, è utilizzata da tutti coloro che desiderano rimanere in contatto con parenti, amici, conoscenti e anche colleghi. Proprio in quest’ultimo caso, le chat rappresentano un ottimo metodo per organizzare il lavoro o condividere aggiornamenti e informazioni.

Ma bisogna essere molto attenti a quello che si scrive e alle parole che si utilizzano, perché in alcuni casi si potrebbe addirittura rischiare il posto di lavoro. È quello che è successo a un lavoratore che è stato licenziato sulla base di messaggi inviati su una chat Whatsapp, ritenuti ingiuriosi dal datore. La vicenda è stata analizzata anche dalla Corte di Cassazione; cosa hanno stabilito i giudici?
Offendere il datore su una chat privata Whatsapp comporta il licenziamento del lavoratore?
Con la sentenza n. 5936 del 6 marzo 2025, la Cassazione ha stabilito un importante principio in merito alla questione di un lavoratore che era stato licenziato per aveva inviato dei messaggi vocali razzisti su un gruppo Whatsapp di colleghi e che è stato reintegrato.

Nel dettaglio, il dipendente era membro di una chat denominata “Amici di lavoro”, con altri 13 colleghi. Durante uno sfogo, aveva espresso parole offensive nei confronti di un suo superiore. Qualche collega, tuttavia, aveva riportato il contenuto di quella conversazione privata al datore e il lavoratore era stato licenziato.
L’interessato ha deciso di impugnare la decisione dell’azienda, ritenendo che si trattasse di una conversazione privata e che non potevano essere usate per giustificare un licenziamento disciplinare. Sia la Corte d’Appello sia la Corte di Cassazione hanno accolto le ragioni del ricorrente. In particolare, i giudici di legittimità hanno evidenziato che i messaggi inviati in una chat chiusa devono essere valutati alla stregua della corrispondenza privata e, quindi, su di essi si applica la tutela sancita dall’art. 15 della Costituzione.
Di conseguenza, il datore di lavoro non può emettere una sanzione disciplinare (come il licenziamento) nei confronti di chi ha inviato i messaggi Whatsapp, nonostante si tratti di contenuti di pessimo gusto. La sentenza della Cassazione, tuttavia, rende necessario capire quali sono i limiti della privacy, perché anche se la legge garantisce la riservatezza delle comunicazioni, allo stesso tempo le conversazioni non sono mai del tutto private. Basta un banale screenshot o una registrazione per divulgarne il contenuto e potrebbero esserci altre conseguenze oltre a quella disciplinare, magari tramite procedimenti per diffamazione. In questi casi, la prudenza non è mai troppa e i gruppi WhatsApp non sono sempre sicuri.