Chi assiste un familiare con disabilità grave o si trova personalmente in una condizione riconosciuta ai sensi della Legge 104, spesso si chiede se questo possa influenzare l’età pensionabile. A 59 anni, dopo una vita di lavoro, la prospettiva di anticipare il pensionamento diventa una necessità, non solo un desiderio. Ma la risposta non è automatica, perché dipende da fattori precisi: percentuale di invalidità, tipo di lavoro svolto, contributi versati e riconoscimenti ufficiali da parte dell’INPS. E c’è una possibilità concreta, anche se poco conosciuta.
A volte non è tanto la fatica fisica, ma il peso della gestione quotidiana di una disabilità, propria o di un familiare, a rendere ogni anno lavorativo più complesso. Per chi vive con una disabilità riconosciuta come grave secondo la Legge 104, o per chi assiste un coniuge, un figlio o un genitore in questa condizione, la pensione anticipata può essere l’unica via per ritrovare un equilibrio.
In particolare, quando si raggiungono i 59 anni, è lecito domandarsi se esista una possibilità concreta di lasciare il lavoro prima dei 67 anni previsti dal regime ordinario. La risposta è sì, ma serve avere ben chiaro cosa prevede davvero la normativa.
Non basta essere in possesso della Legge 104 per accedere alla pensione anticipata. Serve infatti che all’interno del verbale dell’INPS venga specificato un grado di invalidità non inferiore all’80%. Questo valore non è arbitrario, ma stabilito dalla normativa previdenziale per permettere ai lavoratori dipendenti del settore privato di uscire dal lavoro con requisiti anagrafici più favorevoli.
Nel dettaglio, per l’anno 2025, un lavoratore uomo riconosciuto invalido all’80% può andare in pensione di vecchiaia anticipata a 61 anni, mentre per una donna la soglia è fissata a 56 anni. Il numero minimo di contributi richiesti è pari a 20 anni, indipendentemente dalla percentuale di invalidità. Tuttavia, nel caso in cui il lavoratore abbia già 59 anni, ma non ha ancora compiuto i 61 richiesti, potrà accedere al trattamento solo al raggiungimento di tale età anagrafica, a condizione che l’invalidità sia stata certificata da una commissione medica INPS.
Attenzione però: non tutte le situazioni coperte dalla Legge 104 garantiscono automaticamente questa possibilità. Serve che l’invalidità civile riconosciuta sia compatibile con l’accertamento previdenziale richiesto per la pensione. Sono due percorsi paralleli ma distinti, ed è fondamentale che il verbale INPS riporti in modo chiaro la percentuale di invalidità, che dovrà essere specifica per l’ambito pensionistico.
Anche dopo il compimento dell’età richiesta, la decorrenza della pensione non è immediata. Esiste infatti una finestra di 12 mesi: ciò significa che il trattamento pensionistico parte dal primo giorno del mese successivo alla scadenza di questo intervallo. Se la certificazione di invalidità da parte dell’INPS risale a una data anteriore al compimento dell’età anagrafica prevista, la finestra si apre dal momento in cui si raggiunge l’età. Se invece l’invalidità è riconosciuta dopo, si dovrà attendere 12 mesi da quella data.
Per avviare la procedura, è necessario presentare all’INPS il modello SS3, compilato dal proprio medico curante. La domanda può essere inoltrata anche online, tramite il sito dell’INPS o attraverso i patronati come EPASA-ITACO, che supportano gratuitamente chi desidera attivare la pratica.
Per chi è titolare di Assegno ordinario di invalidità, c’è la possibilità di convertirlo direttamente in pensione di vecchiaia, allegando la documentazione che attesta la percentuale superiore all’80%. In questo modo si evita una nuova trafila medica, snellendo l’intero percorso.
Questo tipo di pensionamento non è legato solo all’età o al numero di contributi, ma soprattutto alla condizione personale e sanitaria del lavoratore. Per chi vive ogni giorno con una disabilità importante, questa opportunità può rappresentare un vero atto di giustizia. E, a 59 anni, sapere che l’orizzonte è più vicino può cambiare profondamente il senso del presente.
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