Un anno lontano dal lavoro può cambiare tutto. Per chi ha scelto il congedo non retribuito per motivi familiari, restano dubbi sulla pensione: quanto si perde davvero? Il posto è garantito, ma i contributi si fermano. E ripartire non è così semplice. Una scelta fatta per necessità può trasformarsi in una zavorra silenziosa che riemerge solo dopo anni. Ecco cosa succede davvero quando si mette in pausa la carriera.
Quando arriva un’emergenza familiare, a volte si è costretti a mettere da parte il lavoro. Il congedo non retribuito, previsto dall’articolo 4 della legge 53/2000, permette di assentarsi fino a due anni, continuativi o frazionati, per gravi motivi familiari. Non si perde il posto, ma si rinuncia allo stipendio. E, dettaglio meno visibile ma cruciale, si bloccano anche i contributi previdenziali. Questo significa che quel periodo non viene conteggiato nel calcolo della pensione.

Spesso non ci si pensa subito. Le preoccupazioni sono altrove, eppure quando si torna alla normalità, le domande iniziano a emergere. Quell’anno fuori, che conseguenze ha sul futuro previdenziale? L’impatto può essere più profondo di quanto si immagini, specialmente se si è vicini all’età pensionabile.
Cosa cambia nella pensione dopo un anno di congedo non retribuito
Durante il congedo non retribuito, il lavoratore non versa contributi all’INPS. Questo si traduce in un “vuoto” nella posizione assicurativa. L’anno trascorso in aspettativa non sarà conteggiato né nell’anzianità di servizio né nel calcolo dell’importo della pensione.

Immaginando un dipendente con 35 anni di contributi che si assenta per un anno intero, alla fine quel periodo non farà parte della sua anzianità. Se prima la pensione era prevista dopo 42 anni e 10 mesi, ora bisognerà lavorare un anno in più, oppure accettare un assegno mensile più basso. Il problema diventa ancor più rilevante per chi mira alla pensione anticipata, dove ogni mese può fare la differenza.
Inoltre, questo vuoto può influire anche sul calcolo della media delle retribuzioni, penalizzando ulteriormente il valore della pensione. Non si tratta solo di ritardare l’uscita dal lavoro, ma anche di ricevere meno a fine carriera.
Riscattare l’aspettativa: quando conviene e quanto costa
La normativa consente, però, di recuperare i contributi mancanti attraverso il riscatto. Si tratta di un’operazione a pagamento, che consente di versare autonomamente quanto non versato durante il congedo. Per farlo, è necessario avere documenti certi, come libri paga, autorizzazioni del datore di lavoro o libretto di lavoro, che attestino il periodo di aspettativa.
Il costo varia da caso a caso. Per una persona con reddito medio, riscattare un anno può significare una spesa di diverse migliaia di euro. Non sempre è un investimento sostenibile, e serve un’attenta valutazione, magari con l’aiuto di un esperto previdenziale o di un patronato.
Non ci sono oggi particolari agevolazioni per questo tipo di riscatto. Non è deducibile come altre forme, come ad esempio quello della laurea, e non ha un pagamento rateale semplificato. Tuttavia, in alcuni casi può essere l’unico modo per colmare un buco significativo che comprometterebbe la pensione futura.
La scelta va fatta con consapevolezza. Per alcuni, l’assenza potrà essere assorbita da una carriera lunga. Per altri, invece, quel periodo non riscattato potrebbe essere determinante. Meglio pensarci oggi che trovarsi in difficoltà domani.