Una vita fatta di lavoretti, contratti saltuari o addirittura in nero. E ora, con la vecchiaia alle porte, nasce un dubbio pesante: come si sopravvive senza una pensione? Chi ha lavorato senza versamenti contributivi si chiede se ci sia comunque una possibilità. L’INPS può riconoscere qualcosa? Serve per forza una carriera regolare per ottenere un reddito nella terza età? Tra regole rigide e tutele minime, c’è ancora spazio per chi è rimasto ai margini del sistema previdenziale. E la risposta, in certi casi, può sorprendere.
Per anni, molti hanno lavorato senza garanzie: qualche ora in una pizzeria, mesi in agricoltura, assistenza a domicilio, spesso senza contratto. In tanti si sono arrangiati, magari alternando periodi occupati e lunghi momenti di disoccupazione.

Ma tutto questo spesso non lascia traccia nei registri dell’INPS. E allora, quando si avvicina l’età della pensione, ci si chiede se quei sacrifici avranno un riscontro. Purtroppo, in termini previdenziali, il lavoro non dichiarato non esiste. Tuttavia, la legge italiana non abbandona del tutto chi si trova in difficoltà economica.
La pensione richiede contributi, ma esiste anche l’assegno sociale
Per ottenere una vera pensione, servono contributi. In Italia, la pensione di vecchiaia spetta con almeno 20 anni di contributi e 67 anni d’età. Chi ha meno di 20 anni versati non ha diritto al trattamento previdenziale ordinario. L’INPS non riconosce i periodi di lavoro in nero, a meno che non vengano denunciati e accertati legalmente. Ma nella maggior parte dei casi, chi ha avuto una carriera discontinua resta privo del requisito minimo.

C’è però un’alternativa: si chiama assegno sociale. Non è una pensione, ma una prestazione assistenziale rivolta a chi ha raggiunto i 67 anni, risiede stabilmente in Italia da almeno 10 anni e ha un reddito basso o nullo. Nel 2025, l’importo è pari a 538,69 euro al mese per 13 mensilità. Spetta in misura intera a chi non ha redditi personali; viene invece ridotto in presenza di altre entrate, fino ad azzerarsi se si superano le soglie previste.
Il requisito economico è fondamentale: per ottenere l’assegno sociale, il reddito annuo deve essere inferiore a 7.002,97 euro per i single e 14.005,94 euro per le coppie. Serve inoltre la residenza effettiva in Italia e, per i cittadini non italiani, il possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Tutti questi elementi vengono verificati ogni anno.
Lavoro irregolare e carriere frammentate: quali prospettive?
Chi ha lavorato saltuariamente o in nero spesso si ritrova senza un vero estratto contributivo. Per accedere alla pensione, non bastano pochi anni di contributi. Anche la cosiddetta “pensione contributiva di vecchiaia”, prevista con almeno 5 anni di contributi, si può ottenere solo al compimento dei 71 anni e solo se quei contributi sono effettivi.
Non esistono versamenti retroattivi per coprire i periodi lavorati in nero. Esistono i contributi volontari o il riscatto di alcuni periodi, ma sono percorsi complessi e spesso onerosi. In pratica, per chi non ha contributi versati o ne ha pochissimi, l’unica possibilità concreta resta l’assegno sociale.
Un esempio può chiarire meglio: una donna di 68 anni, che ha fatto la badante per tutta la vita senza contratto, oggi vive da sola e non ha redditi. Anche se non ha mai versato contributi, può ricevere l’assegno sociale, se ha vissuto regolarmente in Italia negli ultimi 10 anni. Lo stesso vale per un uomo che ha svolto lavori agricoli a giornata, senza essere mai assunto: se vive con la moglie e il loro reddito è sotto la soglia prevista, l’INPS può riconoscere l’importo in misura ridotta.
Serve attenzione ai dettagli. L’assegno sociale non è esportabile all’estero, non è reversibile né cumulabile con altre pensioni. Ma rappresenta comunque una rete di sicurezza concreta. Chi ha avuto una vita lavorativa irregolare può ancora contare su questo strumento, purché rispetti i requisiti previsti.