Avere pochi anni di contributi e l’età per la pensione di vecchiaia ancora lontana è una situazione comune che genera incertezza. Molti lavoratori si chiedono se i soldi versati all’INPS possano essere semplicemente restituiti, ma la risposta, purtroppo, non è così diretta. Il rimborso dei contributi è un’eventualità rara e legata a circostanze molto specifiche, che spesso non coincidono con la semplice insufficienza dei requisiti per la pensione.
La domanda sorge spontanea per chi si trova con una carriera contributiva frammentata: ho versato contributi per circa 10 anni, non raggiungo i requisiti minimi per la pensione, posso almeno riavere indietro quanto versato? La normativa previdenziale italiana, come confermato dall’INPS, è molto chiara su questo punto e, nella maggior parte dei casi, non prevede la restituzione dei contributi obbligatori. Questi versamenti, infatti, sono fondati su un principio di solidarietà e non su una logica di accumulo individuale rimborsabile a richiesta.
Tuttavia, esistono delle eccezioni ben definite che permettono di recuperare le somme versate, ma è fondamentale capire se la propria situazione rientra in questi casi particolari. Esistono inoltre altre strade per non perdere il capitale versato, valorizzando i cosiddetti contributi silenti e trasformandoli in una futura, seppur minima, prestazione pensionistica.
La possibilità di ottenere un rimborso diretto dei contributi versati è limitata quasi esclusivamente a situazioni di versamenti “indebiti”, ovvero non dovuti. Questo si verifica, ad esempio, quando un datore di lavoro versa contributi per un lavoratore oltre il massimale annuo previsto dalla legge, oppure nel caso di errori materiali nel calcolo. Anche per gli iscritti alla Gestione Separata, in determinate condizioni di reddito e status, è prevista la restituzione dei contributi versati se, al compimento dei 67 anni, non si è maturato il diritto alla pensione.
In questo caso specifico, come specificato in diverse comunicazioni dell’INPS, l’iscritto può chiedere la restituzione di quanto versato, escludendo però i contributi che hanno già dato luogo al pagamento di altre prestazioni come l’indennità di maternità o di malattia. Per i lavoratori dipendenti del settore privato e per gli autonomi iscritti alle gestioni speciali, invece, la regola generale è che i contributi regolarmente versati, anche se insufficienti per raggiungere la pensione, non sono rimborsabili. Essi rimangono “silenti” nell’estratto conto contributivo del lavoratore.
Se il rimborso non è una strada percorribile, esistono diverse strategie per valorizzare i 10 anni di contributi versati ed evitare che vadano perduti. Una delle opzioni principali è la prosecuzione volontaria. Se il lavoratore ha interrotto l’attività lavorativa, può chiedere all’INPS l’autorizzazione a versare volontariamente i contributi mancanti per raggiungere il requisito minimo per la pensione di vecchiaia (attualmente 20 anni). Un’altra possibilità, per chi ha carriere discontinue o contributi in gestioni diverse (ad esempio, lavoro dipendente e poi autonomo), è il cumulo gratuito. Questo strumento, introdotto dalla Legge 228/2012, permette di sommare gratuitamente i periodi contributivi non coincidenti maturati in diverse gestioni per ottenere un’unica pensione.
Infine, per i lavoratori che rientrano interamente nel sistema contributivo (con primo accredito dal 1° gennaio 1996), esiste la possibilità di accedere alla pensione di vecchiaia a 71 anni con soli 5 anni di contributi effettivi. Sebbene richieda di attendere un’età anagrafica più elevata, questa opzione garantisce che anche un montante contributivo esiguo come quello di 10 anni non vada sprecato.
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