La pronuncia dello scorso 29 agosto della Cassazione è una bomba: ecco come il datore di lavoro può spiare i tuoi messaggi!
Sapere che il datore di lavoro può spiare i tuoi messaggi, mette non poco in crisi, specie quelli che… ne parlano male! Al di là dell’ironia, la Cassazione ha emesso una pronuncia molto importante sul caso, la n. 24204, sia per le sue conseguenze, che per quanto concerne le innovazioni poste in essere sul piano giurisprudenziale.

La pronuncia della Corte di Cassazione viene vista come una “bomba” proprio per le sue conseguenze, dato che ribadisce con forza che la corrispondenza privata, anche se transitata o archiviata su server e dispositivi aziendali, è inviolabile e di conseguenza protetta dalla privacy del lavoratore. Di contro, il datore non può leggere o utilizzare come prova le e-mail a carattere personale, queste presenti nei sistemi informatici aziendali, senza il consenso chiaro e preventivo del lavoratore.
Ma perché è stata determinata una sentenza di questo tipo? L’impatto è fortissimo. Si conferma il principio che qualsiasi monitoraggio “non può esser fatto a caso”, ma deve rispettare dei criteri di legittimità e proporzionalità. Non sono più ammessi controlli indiscriminati o slegati da motivazioni gravi e specifiche.
Segue che i lavoratori devono ricevere una chiara informativa di matrice preventiva sulle modalità e i limiti che devono rispettare i controlli, senza ciò, il monitoraggio è illegittimo.
Applicazione sentenza, come il datore di lavoro può spiare i tuoi messaggi
La sentenza n. 242024 ha fortemente aggiornato la disciplina su come il datore di lavoro può spiare i tuoi messaggi, anche se di base non potrebbe agire in maniera totalmente “libertaria”. Infatti, consegue affermare quali sono le condizioni e come si esaurisce la pronuncia nel concreto.

Sostanzialmente si potenzia la materia della protezione privacy del lavoratore. Questo in virtù dell’art. n. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, valido contro l’accesso abusivo della corrispondenza elettronica. Dalla sentenza si evidenzia che l’uso da parte del datore di lavoro di e-mail personali presenti su dispositivi aziendali per dimostrare situazioni “illecite”, è vietato e non lo si può utilizzare come prova in giudizio.
Penalmente, si ricorda che l’accesso abusivo a un account di posta elettronica protetto da password, integra i reati di violazione di corrispondenza, e di accesso abusivo a sistema informatico.
In conclusione, la sentenza impone un netto confine tra controllo legittimo e violazione della privacy, costringendo le aziende a rispettare norme più rigorose e a garantire la tutela dei diritti dei lavoratori nel contesto digitale, con fondamentali ripercussioni sulle modalità di gestione dell’uso degli strumenti aziendali e delle verifiche interne ai dipendenti.