Com’è successo che il Fisco mi ha chiuso la Partita IVA, la sentenza della CGT ha emesso il verdetto.
Sapere che il Fisco mi a chiuso la Partita IVA è un guaio a cui bisogna immediatamente trovare la soluzione. Ci sono tante categorie che rischiano la stessa conseguenza, pure se ritengono di “non aver fatto nulla per meritarsi ciò”, è davvero così? Si analizzano le situazioni pericolose in tal senso, specie dopo la sentenza n. 163 del 14 agosto scoro della Corte di Giustizia Tributaria.
A trattare il caso in questione è stata la Corte di Giustizia Tributaria di Prato, appunto con la sentenza n. 163 del 14 agosto 2025, la quale ha chiarito che la legittimità della cessazione della Partita IVA disposta dall’ADE, cioè l’Agenzia delle Entrate, può fondarsi su elementi a “rischio”, emersi da controlli automatizzati e accessi presso i luoghi dichiarati come sede dell’attività.
Tali elementi sono di rischio e fanno riferimento a situazioni come anomalie economico-contabili gravi o sistematiche, quindi continue, violazioni delle norma tributarie. A ciò si aggiungono condizioni come la mancanza di requisiti di imprenditorialità, professionali e l’abituale svolgimento dell’attività.
Servono dei presupposti probatori importanti, ma cosa deve fare il contribuente per difendersi?
Da come accennato, i presupporti probatori finalizzati alla cessazione della condizione, richiedono che il contribuente sia nelle condizioni di dimostrare l’assenza di tali condizioni di rischio, fornendo prova e comprova del possesso dei requisiti che gli sono stati richiesti dalla legge. A ciò si aggiunge il regolare esercizio dell’attività di impresa, arte o professione che sia. Se mancano questi elementi alla presentazione presso l’Ufficio, ecco che la cessazione è legittima e può avere conseguenze tremende, ecco quali.
Tra le peggiori conseguenze non c’è solo da dire che “il Fisco mi ha chiuso la partita IVA”, ma molto peggio. Perché si perdono tutti i vantaggi del caso, ma soprattutto si subiscono delle sanzioni di tipo amministrative. Il “rischio” legittima la cessazione della condizione se emergono irregolarità non solo evidenti, ma anche molto gravi che rendono l’attività o fittizia, oppure nel pieno regime illegale di evasione fiscale.
Ciò rilevato ovviamente mediante ispezioni e controlli incrociati con la necessità della concretezza probatoria per il titolare che deve far valere la propria parola.
Cosa valuta l’Agenzia delle Entrate? In primis, la tipologia e la modalità di svolgimento dell’attività, la condizione di assenza di reale esercizio di impresa, e la presenza di violazioni sistematiche della normativa tributaria o comunque sostanziali.
Davanti una situazione del genere, riattivare la partita IVA cessata non è impossibile, ma bisognerà presentare una fideiussione bancaria o polizza fideiussoria per un importo ordinario di 50 mila euro, superiore se risultano violazioni fiscali pregresse. Tali orientamenti di matrice giurisprudenziale, potenziano il controllo dell’ADE rispetto i fenomeni evasivi e le imprese fittizie.
Sia la sentenza di Prato sopracitata che gli ultimi provvedimenti dell’ADE, forniscono tutti i chiarimenti e gli approfondimenti dei casi in esame.
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