Può davvero un presidente degli Stati Uniti provare a rimuovere il capo della banca centrale? Il gesto simbolico di Trump del 16 luglio 2025 ha scatenato un’ondata di reazioni che vanno ben oltre la politica americana. La tensione con la Federal Reserve torna ad alimentare timori globali, mettendo sotto i riflettori l’indipendenza di un’istituzione chiave per la stabilità dei mercati. Il bersaglio, ancora una volta, è Jerome Powell. Ma stavolta lo scontro ha assunto contorni molto più inquietanti.
Una giornata qualsiasi a Washington può trasformarsi in un terremoto finanziario se sulla scena torna Donald Trump con i suoi gesti teatrali. Durante un incontro alla Casa Bianca, l’ex presidente ha mostrato una bozza di lettera per rimuovere Jerome Powell dal vertice della Federal Reserve, accusandolo apertamente di frode e puntando il dito contro i 2,5 miliardi di dollari spesi per ristrutturare la sede della banca centrale.

Pochi minuti dopo, la notizia si era già diffusa ovunque. I mercati hanno reagito immediatamente: i rendimenti dei titoli di Stato sono saliti, Wall Street ha frenato e il dollaro ha vissuto un saliscendi nervoso. Anche se Trump ha poi definito “altamente improbabile” una sua azione concreta contro Powell, ha comunque lasciato intendere che in caso di “frodi”, la rimozione non sarebbe esclusa.
Il fatto che un ex presidente metta in discussione la guida della banca centrale americana con tale disinvoltura ha riacceso un vecchio timore: cosa accade se la Fed smette di essere indipendente?
Quando la politica minaccia la banca centrale: cosa rischia davvero l’indipendenza della Federal Reserve?
Le parole di Trump non sono nuove, ma il contesto sì. L’economia americana oggi è fragile, i mercati nervosi, e ogni segnale politico pesa più del solito. L’indipendenza della Federal Reserve è uno degli elementi più preziosi per la fiducia globale negli Stati Uniti. Intaccarla, anche solo a parole, può avere effetti pesanti.

Negli anni Settanta, Richard Nixon cercò di influenzare la Fed per motivi elettorali. I risultati furono disastrosi: tassi artificialmente bassi e un’esplosione inflazionistica. Oggi, con un’inflazione al 2,7% e un tasso di riferimento stabile tra il 4,25% e il 4,50%, una mossa simile potrebbe destabilizzare ancora di più un equilibrio già fragile.
Powell è stato già sotto pressione durante il primo mandato di Trump, ma stavolta il confronto arriva mentre si attende la prossima riunione del FOMC il 30 luglio. Nessun cambiamento nei tassi è previsto per quel giorno, e i mercati assegnano meno del 3% di probabilità a un taglio immediato. Ma se la Fed apparisse indebolita, ogni previsione potrebbe saltare.
L’autunno sarà decisivo per i mercati: tagli dei tassi o nuova instabilità politica?
Le vere mosse monetarie sono attese per settembre. Se l’economia americana rallenterà, ci si aspetta che la Fed possa iniziare un ciclo graduale di riduzione dei tassi. Alcuni analisti, come quelli di Goldman Sachs e Bank of America, prevedono due tagli da 25 punti base entro la fine dell’anno.
Ma tutto dipende dalla credibilità della Federal Reserve. Se l’istituzione viene percepita come ostaggio delle pressioni politiche, anche le sue decisioni più tecniche rischiano di non essere più credute. La fiducia, una volta incrinata, è difficile da recuperare.