Ivafe e RW: due sigle che non conviene ignorare quando hai a che fare con il fisco

Un bonifico dall’estero può sembrare innocuo. Un conto corrente fuori dall’Italia, magari aperto anni fa e mai chiuso, può passare inosservato. Eppure, questi piccoli dettagli attirano l’attenzione del Fisco. Il problema non è tanto l’esistenza del conto in sé, ma il superamento, anche minimo, di certe soglie che attivano gli obblighi di dichiarazione.

Il rischio? Sanzioni anche pesanti e presunzioni di evasione. Chi ha rapporti con l’estero deve conoscere bene i limiti previsti dal monitoraggio fiscale e sapere quando serve davvero compilare il quadro RW.

Pesrona che fa calcoli delle tasse e onete
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Il fatto che l’Agenzia delle Entrate riceva automaticamente informazioni dai Paesi esteri cambia completamente le regole del gioco. Oggi nulla passa più inosservato. Non è necessario che il conto produca interessi, né che venga usato regolarmente. Basta la sola disponibilità di somme all’estero, anche solo per un giorno, per far partire gli obblighi fiscali. Non sapere non è una giustificazione, e la linea tra regolarità e omissione è più sottile di quanto si pensi.

Quando serve il monitoraggio fiscale

Il monitoraggio fiscale è obbligatorio per chi risiede fiscalmente in Italia e possiede attività all’estero, anche se il conto non è intestato direttamente. La norma considera anche chi ha la possibilità di movimentare i fondi, come nel caso di un beneficiario di trust o di società fiduciaria.

Persona che analizza dei dati
Quando serve il monitoraggio fiscale-trading.it

Il modo per adempiere è compilare il quadro RW nella dichiarazione dei redditi, indicando gli investimenti o le attività finanziarie detenute all’estero. Questo vale per conti correnti, libretti di risparmio, immobili, titoli, opere d’arte o beni registrati fuori Italia.

Due sono i limiti centrali: se durante l’anno il saldo del conto estero supera i 15.000 euro, anche per un solo giorno, scatta l’obbligo di monitoraggio. Se invece la giacenza media supera i 5.000 euro, si applica anche l’Ivafe (Imposta sul valore delle attività finanziarie estere), pari a 34,20 euro l’anno per le persone fisiche.

È importante distinguere: il superamento del primo limite (15.000 euro) comporta solo la dichiarazione ai fini del monitoraggio; il secondo (5.000 euro di media annua) comporta anche il pagamento dell’imposta. Anche un conto inattivo o inutilizzato può rientrare nei criteri, se le soglie vengono superate.

Cosa succede se il conto non viene dichiarato

L’omissione del quadro RW può costare caro. Nei casi più lievi, si applica una sanzione fissa di 250 euro se la dichiarazione viene regolarizzata entro 90 giorni. Altrimenti si passa a una sanzione variabile dal 3% al 15% del valore non dichiarato. Se il conto si trova in un Paese considerato a rischio fiscale (black list), la sanzione sale al 30%.

Inoltre, il Fisco può presumere che le somme non dichiarate siano frutto di evasione, a meno che il contribuente non dimostri il contrario con documenti validi. Grazie agli accordi di scambio automatico di dati, l’Agenzia riceve ogni anno informazioni su conti esteri riconducibili a residenti italiani.

Chi si accorge dell’errore può correggere con il ravvedimento operoso, pagando sanzioni ridotte in base al tempo trascorso. Spesso, prima di procedere a un accertamento, il Fisco invia lettere di compliance, dando una possibilità per rientrare nei ranghi senza ulteriori problemi.

In definitiva, oggi avere un conto all’estero non è più una zona grigia. Le regole ci sono, i controlli pure.

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