Una recente ordinanza della Corte di Cassazione cambia lo scenario nella gestione del Tfr e obbliga aziende e consulenti del lavoro a rivedere il modo in cui vengono costruite le buste paga.
Con la decisione 30331/2025, gli ermellini riportano al centro il principio di onnicomprensività della retribuzione e chiariscono che ogni somma non occasionale concorre alla liquidazione finale, salvo una deroga contrattuale chiara e inequivocabile. Una svolta che incide direttamente su indennità, premi e trattamenti accessori spesso gestiti come voci marginali.
Il ragionamento della Suprema Corte coinvolge due nodi centrali: la natura effettiva delle somme corrisposte e l’onere della prova nelle controversie tra lavoratore e datore di lavoro. L’ordinanza affronta anche la frequente confusione generata dagli elenchi presenti nei CCNL, utilizzati come riferimenti standard ma non sempre risolutivi. Nell’interpretazione dei giudici, ciò che conta non è la forma della voce retributiva, ma la sua ricorrenza e il suo legame con l’attività svolta in azienda.
L’ordinanza 30331/2025 rimette al centro l’articolo 2120 del Codice civile, che stabilisce che il Trattamento di fine rapporto si calcola includendo tutte le somme percepite in modo non occasionale, a eccezione dei rimborsi spese. La Cassazione chiarisce che le liste contenute nei contratti collettivi nazionali non rappresentano mai elenchi chiusi e non autorizzano l’esclusione automatica di emolumenti non citati espressamente. I CCNL, infatti, descrivono gli elementi ricorrenti della busta paga come standard, ma ciò non significa che altre indennità o compensi, legati alle modalità del servizio o a pattuizioni individuali, siano irrilevanti ai fini della liquidazione.
La Corte interviene anche sul ragionamento adottato dalla Corte d’Appello di Roma, che aveva escluso alcune somme basandosi sulla loro assenza nell’elenco contrattuale. Secondo gli ermellini, questo metodo interpretativo “a contrario” svilisce il principio stesso di onnicomprensività: se l’inclusione dipendesse solo dalle menzioni formali, si finirebbe per ignorare compensi che, nella sostanza, rappresentano parte integrante della retribuzione.
Il discrimine, dunque, è uno solo: la natura non occasionale dell’emolumento. Quando un premio, un’indennità o un compenso viene riconosciuto con regolarità, il carattere eccezionale svanisce e la somma diventa a tutti gli effetti retribuzione continuativa, entrando nel TFR salvo una deroga contrattuale chiara e inequivocabile.
Uno degli aspetti più rilevanti dell’ordinanza riguarda la ripartizione dell’onere della prova. La Cassazione stabilisce che la regola è l’inclusione di tutte le voci retributive continuative. L’esclusione rappresenta l’eccezione e deve trovare fondamento in una clausola contrattuale precisa. La parte che sostiene la non computabilità (il datore di lavoro), deve dimostrare l’esistenza della deroga nel CCNL. Il lavoratore, invece, deve provare solo la percezione regolare della somma nel tempo.
Sulla base di questa impostazione, la Suprema Corte ha cassato la decisione della Corte d’Appello di Roma e ha disposto un nuovo esame. I giudici del rinvio dovranno compiere una verifica ex post, analizzando la storia concreta del rapporto di lavoro per stabilire se gli emolumenti contestati siano stati versati per un periodo significativo. Solo questa indagine consente di stabilire se la somma sia effettivamente non occasionale.
La decisione ha un impatto immediato sulle aziende. Le direzioni del personale e gli uffici paghe devono riconsiderare molte voci solitamente trattate come accessorie. Indennità ricorrenti, premi collegati a mansioni specifiche e compensi erogati con continuità possono generare obblighi di accantonamento TFR non ancora calcolati. Senza una deroga chiara nel contratto collettivo, la continuità del pagamento prevale sull’elenco formale presente nel CCNL.
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