C’è sempre quel momento di tensione che si percepisce appena inizia un’assemblea condominiale: quando si parla di lavori al tetto, cala il silenzio, poi partono le obiezioni. In genere le voci più decise arrivano da chi vive al piano terra o da chi ha un negozio al piano strada. “Perché dovrei pagare per qualcosa che non uso?” è la frase più ricorrente, spesso pronunciata con un misto di rabbia e rassegnazione.
Il problema è che questa convinzione, che sembra logica, in realtà non ha basi legali. Il cosiddetto criterio di verticalità, per cui pagherebbe solo chi si trova sotto la porzione di tetto da sistemare, non regge alla prova del diritto. Il tetto, al contrario, non è un bene “di servizio” per pochi, ma un elemento strutturale che riguarda tutti i proprietari.
Una recente sentenza del Tribunale di Torre Annunziata lo ha ribadito con forza, confermando un orientamento già consolidato della Cassazione: le spese vanno ripartite tra tutti i condomini in base ai millesimi, senza eccezioni. Questo significa che, quando si rifà un tetto, la stangata arriva per tutti, anche per chi pensa di non trarne alcun beneficio diretto. È un punto fermo che non lascia spazio a interpretazioni personali, ma poggia su norme chiare del Codice Civile e su decenni di giurisprudenza.
Il tetto è una delle parti comuni essenziali dell’edificio, così come le fondamenta o i muri portanti, come stabilisce l’articolo 1117 del Codice Civile. La sua funzione non è solo quella di fare da “soffitto” all’ultimo piano, ma di proteggere l’intera struttura dagli agenti atmosferici e dai danni che possono derivare da infiltrazioni e degrado. Quando un tetto cede o perde impermeabilità, i danni non si limitano agli appartamenti immediatamente sottostanti, ma si propagano: le infiltrazioni scendono lungo le pareti, rovinano gli impianti, possono addirittura compromettere le fondamenta.
Per questo, la giurisprudenza e la normativa sono chiare: tutti i condomini, senza eccezioni, devono contribuire alle spese per il rifacimento o la manutenzione. L’articolo 1123 del Codice Civile disciplina questa ripartizione in base ai millesimi di proprietà, indipendentemente dal piano o dall’uso diretto del bene. La sentenza del Tribunale di Torre Annunziata n. 1525 del 2025 ha confermato un principio granitico già più volte ribadito dalla Cassazione: la logica della verticalità non si applica al tetto. In altre parole, non esiste alcun condominio “à la carte” in cui si paga solo ciò che si percepisce come utile. Il tetto serve a mantenere in vita l’intero edificio, e quindi ogni proprietario è obbligato a partecipare alla spesa, anche chi vive o lavora al piano terra.
Il terzo comma dell’articolo 1123 prevede un’eccezione: se un bene serve solo una parte del condominio, allora le spese sono a carico solo di chi ne trae utilità. È il caso, ad esempio, di un’antenna centralizzata che copre solo un gruppo di appartamenti, o di scale e ascensori che non servono tutti. Tuttavia, il tetto non rientra in questa categoria. Non serve una parte, ma l’intero stabile. Sentenze storiche della Cassazione, come la n. 3419/1977 e la n. 1430/2019, hanno chiarito che anche i proprietari di locali al piano terra o addirittura interrati sono tenuti a partecipare alla spesa per il tetto, perché anch’essi beneficiano della sua funzione di protezione e conservazione dell’immobile. Solo in casi eccezionali, come un tetto realmente di proprietà esclusiva, si applica l’articolo 1126, con la suddivisione dei costi in parte al proprietario e in parte agli altri. Ma quando si tratta di coperture comuni, non esistono scappatoie. La recente sentenza di Torre Annunziata non fa altro che confermare questo principio, consolidando un orientamento che non lascia spazio a dubbi: la stangata per i lavori al tetto è una responsabilità condivisa, perché il bene che si protegge è l’intero edificio.
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