Lavori condominiali approvati, ma il vicino si oppone: ecco quando può farlo davvero

Chi decide quando la salute è più importante dei lavori condominiali? Una delibera approvata può davvero essere messa in discussione da un solo condomino? Dietro a una semplice ristrutturazione si nascondono storie di sofferenza, diagnosi mediche e battaglie legali.

E la legge, tra cavilli e diritti fondamentali, offre più spiragli di quanto si pensi. In certi casi, un ponteggio può valere più di una sentenza. Ma quanto vale davvero il diritto a respirare aria pulita nella propria casa?

Lavori condominiali
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In un tranquillo palazzo di città, l’annuncio dei lavori di ristrutturazione sembra una buona notizia. Facciate da rifare, nuovi materiali, valorizzazione dell’immobile. Ma basta poco per trasformare l’entusiasmo in angoscia. Una finestra che non si apre più, l’odore pungente di solventi che filtra ovunque, il rumore continuo delle attrezzature: per chi soffre di patologie respiratorie o altre condizioni croniche, tutto questo può significare giorni difficili, o addirittura pericolosi.

E allora ci si chiede: può davvero un solo proprietario mettere in pausa una decisione presa dalla maggioranza? E se lo fa per motivi di salute, può la legge dargli ragione? È qui che le regole condominiali, spesso rigide, si intrecciano con il diritto costituzionale a vivere in un ambiente sicuro. E a volte, proprio tra le impalcature e le vernici, nasce una questione più grande: quella dell’equilibrio tra il bene comune e la fragilità del singolo.

Quando la maggioranza non basta: salute e lavori condominiali a confronto

In teoria, una delibera condominiale regolarmente approvata dovrebbe essere vincolante per tutti. Ma le eccezioni esistono, soprattutto quando entrano in gioco elementi delicati come il diritto alla salute. Non esiste una norma che vieti esplicitamente i lavori dannosi per la salute di un condomino, ma ci sono riferimenti giuridici che aprono spiragli importanti. L’articolo 1120 del Codice Civile, ad esempio, stabilisce che le innovazioni non devono compromettere l’uso dell’edificio nemmeno per un solo condomino.

Persona che tiinteggia un solaio
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E proprio qui si apre il dibattito: se una persona è affetta da una malattia cronica che può aggravarsi a causa dei lavori, è corretto andare avanti comunque? Immaginare vernici tossiche applicate accanto alle sue finestre o martelli pneumatici attivi per settimane crea un quadro ben diverso da quello di una semplice manutenzione. Per questo, il condomino in difficoltà può rivolgersi al giudice e chiedere misure urgenti, anche quando i lavori sono già iniziati.

Il tribunale non è chiamato solo a bloccare o autorizzare, ma a cercare un punto di equilibrio. Potrebbe chiedere l’uso di materiali meno invasivi, la modifica dell’orario dei lavori o, in alcuni casi, una sospensione temporanea. È una decisione delicata, che mette sullo stesso piano il valore del diritto individuale alla salute e la volontà collettiva espressa in assemblea.

Quando dire basta è possibile: gli strumenti legali per proteggere la salute

L’articolo 1137 del Codice Civile fissa in 30 giorni il termine per impugnare una delibera assembleare. Ma quando c’è di mezzo la salute, si apre un’altra interpretazione: quella secondo cui il diritto alla tutela personale non può essere limitato dal tempo. Alcuni esperti ritengono che un’azione legale sia legittima anche dopo l’inizio dei lavori, se motivata da rischi documentati.

Esiste anche un’altra via, quella dell’articolo 1102, che regola l’uso delle parti comuni. Nessun intervento può impedire a un condomino di vivere serenamente nella propria casa. Se i lavori, pur autorizzati, trasformano l’abitazione in un ambiente insalubre o pericoloso, allora si può intervenire.

Certo, non è semplice. Servono certificazioni mediche, prove concrete e spesso la consulenza di un avvocato. Ma i margini per agire esistono. E la tutela non è solo teorica: ci sono casi in cui il giudice ha dato ragione al proprietario fragile, modificando profondamente il corso dei lavori.

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