Lavoro effettivo e NASpI: la Corte apre a nuove interpretazioni

Una recente sentenza della Cassazione ha cambiato il modo in cui si valuta il “lavoro effettivo” per ottenere la NASpI. Una decisione che ribalta vecchie convinzioni e apre spiragli inattesi per chi perde il lavoro.

Non si parla solo di ore lavorate, ma di tutte quelle giornate che, anche senza prestazione, generano diritti. I dettagli di questa svolta meritano attenzione, perché potrebbero riguardare più persone di quanto si pensi.

Martello giudice e faldone di documenti
Lavoro effettivo e NASpI: la Corte apre a nuove interpretazioni-trading.it

Quando si resta senza lavoro, ogni dettaglio può fare la differenza. Non solo per la situazione economica, ma anche per la possibilità di accedere a forme di sostegno come la NASpI, l’indennità di disoccupazione prevista per chi perde l’occupazione in modo involontario. Uno dei requisiti, fino a poco tempo fa, era aver lavorato almeno trenta giornate “in modo effettivo” nei dodici mesi precedenti. Ma cosa si intende per “effettivo”? È davvero necessario aver svolto una prestazione lavorativa ogni giorno?

Questa è la domanda che si è posta la Cassazione, e la risposta contenuta nella sentenza n. 13558 del 21 maggio 2025 cambia le carte in tavola. La Corte ha chiarito che anche i giorni in cui il lavoratore non ha svolto attività materiale possono essere conteggiati, se in quei giorni c’era comunque diritto alla retribuzione e alla contribuzione. Ferie, permessi retribuiti e pause previste dal contratto non vengono esclusi: fanno parte, a tutti gli effetti, della vita lavorativa.

La Cassazione riscrive le regole del lavoro effettivo

Nel dettaglio, la Corte ha stabilito che il requisito delle 30 giornate di lavoro effettivo si può raggiungere anche includendo i giorni in cui non c’è stata attività concreta, ma durante i quali il lavoratore ha comunque percepito lo stipendio. Il motivo è semplice: questi giorni, pur non essendo produttivi, mantengono vivo il rapporto di lavoro e contribuiscono alla formazione della retribuzione e dei contributi. In altre parole, contano perché sono riconosciuti come parte integrante dell’occupazione.

Inoltre, nel calcolo dei dodici mesi precedenti l’inizio della disoccupazione, vanno escluse le sospensioni tutelate per legge, come ad esempio maternità, malattia o cassa integrazione. Questi periodi non interrompono la continuità, ma vengono neutralizzati ai fini del conteggio, lasciando spazio solo ai periodi realmente utili.

Per la Cassazione, l’“effettività” non si misura solo sulla base della presenza fisica al lavoro, ma anche su quella giuridica e retributiva. Una pausa retribuita non è un’assenza: è un diritto che nasce dal contratto e che tutela il lavoratore. E proprio perché quel giorno produce effetti economici e normativi, viene considerato utile per accedere alla NASpI. Non è una forzatura, ma una lettura coerente con il senso della norma e con la realtà del lavoro.

Un cambio di prospettiva sul concetto di lavoro

Questa sentenza offre uno spunto per riflettere su cosa significhi davvero lavorare. Spesso si pensa al lavoro solo in termini di produttività, ma esistono molti momenti “invisibili” che fanno parte dell’impegno quotidiano. Le ferie, ad esempio, non sono un regalo: sono un diritto guadagnato. E proprio perché fanno parte del contratto, non possono essere escluse dal computo. Lo stesso vale per i riposi retribuiti e altre pause previste dalla legge.

Chi ha vissuto esperienze lavorative frammentate, con contratti brevi o discontinui, può vedere in questa sentenza un’opportunità. È un riconoscimento del valore di ogni singolo giorno di lavoro, anche di quelli in cui non si è lavorato in senso stretto. Ma si è comunque “presenti” nel sistema, nei diritti, nelle tutele. Forse è il momento di riconsiderare il significato del tempo lavorativo, andando oltre la presenza fisica.

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