Un dettaglio dimenticato, una data che passa inosservata, un flusso di dati che arriva in ritardo: bastano questi elementi a trasformare una buonuscita attesa da anni in una questione complessa. La legge di bilancio 2024 ha introdotto una sanatoria contributiva che riapre i giochi, ma non per tutti. C’è chi può rivedere i conti e ricevere di più, e chi invece rischia una richiesta di rimborso. Il tutto, entro scadenze molto precise. Le parole chiave? TFS, TFR e riliquidazione.
Spesso, quando si va in pensione, si pensa che tutto sia ormai definito. Il calcolo della buonuscita, invece, può cambiare anche a distanza di anni, se emergono nuovi dati retributivi. E proprio per questo oggi molti ex dipendenti pubblici si trovano a fare i conti con una possibilità che non tutti conoscono: quella di ricalcolare il trattamento di fine servizio. Ma attenzione, non si tratta di un’opzione disponibile per sempre.
Esiste un termine massimo, oltre il quale nulla è più modificabile, se non ci sono atti formali che interrompano la prescrizione. È qui che entra in gioco la sanatoria contributiva prevista dalla Legge di Bilancio 2024: uno strumento che consente di regolarizzare omissioni, ma che non estende automaticamente i tempi per correggere TFS e TFR. La differenza tra una somma corretta e una definitiva, anche se errata, può giocarsi tutta in pochi mesi.
La riliquidazione del TFS o del TFR si basa sulla possibilità che una pubblica amministrazione invii all’INPS dati aggiornati dopo il pensionamento del lavoratore. Questi dati, se incidono sulla retribuzione utile al calcolo della buonuscita, possono far modificare l’importo già erogato. Ma il tutto è vincolato a un limite temporale chiaro: cinque anni dalla cessazione del servizio, più dodici mesi per l’erogazione ordinaria del TFS e tre mesi aggiuntivi per la verifica da parte dell’INPS. In totale, sei anni e tre mesi.
Entro questo periodo, se l’INPS riceve dati corretti, può procedere con una riliquidazione che può avere due effetti opposti: un’integrazione (se il nuovo calcolo dà un importo maggiore) oppure un recupero dell’indebito (se risulta che è stato erogato più del dovuto). Il pensionato può quindi ricevere una somma aggiuntiva oppure vedersi notificare una nota di debito, con la richiesta di restituzione. Quest’ultima è prevista dall’articolo 2033 del Codice Civile, che impone la restituzione di quanto pagato senza causa, entro un termine di prescrizione di dieci anni.
Un caso pratico può aiutare a capire: Marco, dipendente pubblico, è andato in pensione il 1° luglio 2018. La sua amministrazione scopre nel 2024 un errore nella sua posizione retributiva e invia i dati corretti all’INPS entro ottobre. Il termine dei sei anni e tre mesi non è ancora scaduto, quindi l’Istituto può aggiornare il calcolo. Se però quei dati arrivassero nel 2025, la riliquidazione non sarebbe più possibile, a meno che Marco non avesse fatto un’azione formale (come una diffida) che interrompe la prescrizione.
La sanatoria contributiva 2024, prevista dalla legge n. 213/2023, consente alle pubbliche amministrazioni di regolarizzare omissioni contributive anche molto vecchie, risalenti fino al 2004, senza versare i contributi arretrati. È sufficiente l’invio dei flussi UniEmens/ListaPosPa per validare i periodi lavorativi mancanti. Tuttavia, questo non equivale a una proroga automatica dei termini per ricalcolare il trattamento di fine servizio.
Infatti, anche se la sanatoria esclude la prescrizione per la regolarizzazione contributiva, non influisce sulle scadenze legali per la riliquidazione del TFS o TFR, che restano ferme. Se il termine di sei anni e tre mesi è trascorso, e non c’è stata alcuna azione interruttiva da parte del pensionato, la buonuscita non può essere ricalcolata, nemmeno con dati ora ufficialmente regolarizzati.
Prendiamo l’esempio di Lucia, pensionata dal 2015. Nel 2025, il suo ex Comune invia all’INPS flussi UniEmens relativi al 2003, regolarizzando formalmente un periodo omesso. Tuttavia, per Lucia sono passati oltre dieci anni dal pensionamento, e non risulta alcuna diffida o ricorso. Anche se la sanatoria le “riconosce” quel periodo, il suo TFS resta invariato. Al contrario, se fosse andata in pensione nel 2021, i tempi per la riliquidazione sarebbero ancora aperti.
Questo significa che, pur trattandosi di una misura importante per sistemare posizioni contributive, la sanatoria non può essere usata per riaprire conti ormai chiusi. Resta invece un’occasione utile per i pensionati più recenti, che si trovano ancora nei limiti temporali o che hanno già avviato un’azione formale per contestare l’importo ricevuto.
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