La manutenzione dell’impianto di riscaldamento condominiale solleva spesso dubbi tra i proprietari: i costi devono essere divisi in base ai millesimi di proprietà oppure seguendo la tabella del riscaldamento? La distinzione tra consumi energetici e spese di conservazione dell’impianto è la chiave per capire come ripartire correttamente le spese.
Quando si parla di spese condominiali relative al riscaldamento centralizzato, è necessario distinguere due categorie principali: da un lato i costi dei consumi, legati all’utilizzo effettivo di energia, e dall’altro le spese di conservazione, che comprendono la manutenzione ordinaria e la manutenzione straordinaria dell’impianto. Questa differenza non è solo teorica ma ha conseguenze pratiche dirette per i condomini, in quanto influisce sul criterio con cui devono essere ripartite le quote.
La normativa di riferimento è rappresentata dal d.lgs. 73/2020 e dalle interpretazioni consolidate in giurisprudenza. Secondo tali disposizioni, la ripartizione dei costi varia a seconda che si tratti di spese di esercizio (legate al consumo) o di spese di conservazione (legate alla durata e integrità dell’impianto). Anche chi si è distaccato dall’impianto centralizzato, infatti, non è esonerato dal contribuire alla sua manutenzione e al suo funzionamento minimo, come confermato da recenti sentenze, tra cui quella della Corte d’Appello di Bologna del 15 marzo 2024.
Il d.lgs. 73/2020 stabilisce che l’importo complessivo delle spese per il riscaldamento centralizzato debba essere ripartito tra i condomini con un criterio preciso: almeno il 50% deve essere attribuito agli effettivi consumi volontari di energia termica. Si tratta dei consumi derivanti dall’utilizzo diretto, misurati dai contabilizzatori individuali installati nei singoli appartamenti.
La restante parte, invece, riguarda i cosiddetti consumi involontari, che derivano dalle dispersioni di calore dell’impianto. Per questa quota, l’assemblea condominiale può decidere di adottare criteri differenti: i millesimi di proprietà, i millesimi di riscaldamento, i metri quadri o cubi utili dell’alloggio, oppure le potenze termiche installate. La norma Uni 10200, seppur non più obbligatoria, rimane un riferimento tecnico possibile. Tuttavia, la legge è chiara: la quota di consumi involontari non può mai superare il 50% del totale.
In questo quadro, la spesa per i consumi si colloca tra le spese di gestione dell’impianto, quindi non si confonde con la manutenzione. Ciò significa che, mentre i consumi seguono regole legate a volontarietà e involontarietà, i costi di conservazione hanno una disciplina diversa.
Le spese di conservazione riguardano l’integrità e la funzionalità dell’impianto. Rientrano in questa categoria la manutenzione ordinaria, che serve a preservare l’efficienza e a prevenire il deterioramento, e la manutenzione straordinaria, che interviene a seguito di eventi imprevedibili o eccezionali. Si tratta, ad esempio, della sostituzione di caldaie, pompe, tubature o interventi strutturali resi necessari da guasti gravi.
Questi costi non dipendono dai consumi, ma dal fatto che l’impianto sia un bene comune ai sensi dell’art. 1117 c.c. Per questo, la loro ripartizione segue la regola generale dei millesimi di proprietà, come confermato da varie pronunce della Corte di Cassazione. Ogni condomino è quindi tenuto a contribuire in proporzione alla propria quota di comproprietà, indipendentemente dall’utilizzo che fa dell’impianto.
Questa regola vale anche per i condomini distaccati. La giurisprudenza ha chiarito che chi decide di staccarsi dall’impianto non può essere obbligato a pagare i consumi di carburante, ma deve continuare a partecipare alle spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria. Ciò perché tali costi garantiscono l’efficienza di un bene comune che resta a disposizione anche di chi non ne usufruisce direttamente.
In sintesi, i costi legati alla manutenzione dell’impianto di riscaldamento non rientrano tra le spese di riscaldamento involontario, ma devono essere ripartiti tra i condomini in base ai millesimi di proprietà, in quanto finalizzati a preservare il bene comune e la sua funzionalità.
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