Mio marito percepisce la pensione da 2 anni, ho fatto domanda anch’io: mi daranno un importo inferiore perchè lui già la prende?

Può davvero la pensione di un coniuge influenzare quella dell’altro? Quando si parla di pensioni marito e moglie, emergono situazioni poco conosciute ma molto frequenti. In una giungla di norme, requisiti e limiti reddituali, capita spesso che una persona venga penalizzata proprio perché il coniuge già percepisce un assegno.

C’è chi ha lavorato per anni, versato contributi, eppure non ha diritto a nulla.

Ogni anno centinaia di casi simili emergono, soprattutto tra donne che hanno avuto carriere intermittenti o ruoli familiari centrali. Il problema non riguarda solo chi non raggiunge i 20 anni di versamenti, ma anche chi, nonostante gli anni di lavoro, viene escluso dalle prestazioni sociali. Questo accade anche quando si superano di poco le soglie di reddito previste dalla legge. Un semplice assegno da 1.500 euro può bastare per annullare ogni diritto all’assegno sociale. E quando si cerca una soluzione, spesso si scopre che le alternative non esistono. La legge non guarda alla singola storia, ma solo a numeri e date. E dietro quei numeri ci sono vite intere.

donna che fa i calcoli sulla pensione
Mio marito percepisce la pensione da 2 anni, ho fatto domanda anch’io: mi daranno un importo inferiore perchè lui già la prende?-trading.it

Nel sistema previdenziale italiano, ottenere una pensione non è sempre automatico, anche per chi ha lavorato a lungo. Servono almeno 20 anni di contributi per accedere alla pensione di vecchiaia ordinaria. Chi non li ha, deve sperare nell’assegno sociale. Ma questa misura, pensata per aiutare chi è in difficoltà economica, è legata a rigidi limiti reddituali familiari.

In pratica, se uno dei due coniugi riceve una pensione considerata “troppo alta”, l’altro rischia di restare escluso. È il caso di molte donne che, pur avendo svolto attività lavorative, si trovano senza pensione. Un esempio concreto: una ex commerciante con 16 anni di contributi e 67 anni d’età. La legge le richiede altri quattro anni per accedere alla pensione ordinaria. L’unica via sarebbe l’assegno sociale, ma il marito percepisce una pensione superiore ai limiti stabiliti. Risultato: nessun trattamento.

Quando la pensione del marito blocca quella della moglie

Le norme sull’assegno sociale prevedono che il reddito della coppia non superi una soglia annua che, nel 2025, si aggira intorno ai 14.000 euro. Se la pensione del marito eccede questa cifra, la moglie resta automaticamente esclusa, anche se non ha altri redditi e ha versato contributi per anni. È una regola che penalizza chi ha avuto carriere brevi o discontinue, spesso a causa di ruoli familiari.

calcolatrice e banconote
Quando la pensione del marito blocca quella della moglie-trading.it

Non è raro che, non potendo accedere all’assegno sociale, la persona cerchi un’alternativa nella pensione di vecchiaia contributiva, prevista a 71 anni con almeno 5 anni di contributi. Ma anche questa possibilità ha un limite rigido: vale solo per chi ha iniziato a versare dopo il 1996. Basta un contributo versato prima di quella data per essere esclusi.

Di fatto, molti restano in una zona grigia. Non hanno i requisiti per la pensione ordinaria, non rientrano tra i beneficiari dell’assegno sociale e non possono accedere alla pensione contributiva. Il risultato è che i contributi versati diventano inutilizzabili. L’INPS chiarisce che non sono persi, ma non producono alcun effetto concreto se non si raggiunge la soglia minima prevista dalla legge.

Chi ha lavorato ma resta senza pensione

Questo tipo di situazione colpisce soprattutto chi ha lavorato nel commercio o in attività autonome per periodi limitati. In molti casi, queste persone hanno chiuso l’attività prima di arrivare ai 20 anni di contributi, magari per occuparsi della famiglia o per motivi di salute. Quando si arriva all’età pensionabile, la scoperta è amara: la pensione non spetta.

Anche chi prova a colmare i contributi mancanti si scontra con costi elevati. Il riscatto volontario è spesso troppo oneroso e poco accessibile. L’idea di lavorare fino ai 70 anni per coprire i versamenti residui non è realistica per tutti. Le donne sono le più colpite da queste norme, perché più spesso hanno carriere spezzate e periodi non coperti da contributi.

Questa realtà solleva un dubbio legittimo: è corretto che il reddito di un coniuge determini il diritto dell’altro a ricevere un sostegno minimo? Le regole attuali sembrano ignorare i percorsi individuali, trattando la coppia come un unico soggetto economico. Un approccio che, nella pratica, può generare profonde disuguaglianze.

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