Cosa succede quando una regola pensata per aiutare finisce per escludere proprio chi ha più bisogno? Una recente decisione della Cassazione mette sotto accusa una prassi comunale apparentemente “logica”, ma in realtà profondamente ingiusta. Il parcheggio sulle strisce blu è solo il pretesto: al centro, c’è il diritto delle persone con disabilità di vivere pienamente ogni spazio della città.
A volte basta una piccola norma per creare una grande ingiustizia. Una regola scritta con buone intenzioni, ma che dimentica qualcosa di fondamentale: le persone. È quello che è accaduto in un Comune italiano, dove un regolamento prevedeva il parcheggio gratuito per le persone disabili solo se titolari di patente o proprietari di un’auto.

Per tutti gli altri, via libera solo se si dimostrano “frequenti accessi” in centro per motivi lavorativi o sanitari. In altre parole, chi non guida e ha una disabilità più grave doveva giustificare ogni suo spostamento. Come se vivere la città per piacere personale fosse un lusso, e non un diritto.
Un caso portato avanti con coraggio ha acceso i riflettori su questa stortura. Ed è bastato un ricorso ben argomentato per ribaltare la visione e cambiare il paradigma. Perché non si tratta solo di parcheggi, ma di dignità, inclusione e libertà di vivere come tutti gli altri.
Il parcheggio è solo un pretesto: la vera battaglia è per il diritto di vivere la città senza condizioni
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24936 del 2019, ha dato ragione a una donna con disabilità che si era vista negare il diritto al parcheggio gratuito sulle strisce blu perché non possedeva un’auto né una patente. Secondo il Comune, senza quei requisiti il beneficio non spettava, salvo casi “giustificabili”. La Corte, però, ha ribaltato tutto. E ha spiegato perché quella regola, apparentemente neutra, è in realtà una discriminazione indiretta.

Nel mirino dei giudici c’è la pretesa di stabilire chi meriti il diritto alla mobilità e chi no. Il problema, ha chiarito la Cassazione, è che si crea una divisione tra persone disabili in base alla loro autonomia motoria. E paradossalmente, chi ha una disabilità più grave viene penalizzato, quando invece avrebbe più bisogno di sostegno.
La legge parla chiaro: ogni norma che mette una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altri, anche all’interno dello stesso gruppo, è discriminatoria. E non riconoscere l’accesso gratuito al centro cittadino per motivi diversi dal lavoro o dalle cure mediche è un modo per negare il diritto a una vita di relazione. Come se uscire per vedere amici, fare una passeggiata o andare a teatro non fosse importante.
Una vittoria legale che ha aperto una breccia: e adesso niente sarà più come prima per i parcheggi disabili
Il valore di questa decisione va oltre il singolo caso. Da oggi, tutti i Comuni italiani dovranno adeguarsi: chi possiede un contrassegno disabili, anche se non guida, ha diritto al parcheggio gratuito sulle strisce blu. Questo significa che anche i familiari o gli accompagnatori potranno utilizzare il permesso senza ostacoli, garantendo piena mobilità a chi ne ha diritto.
La Corte ha evidenziato che la vera funzione di questo beneficio non è solo economica. È un modo per favorire l’inclusione, abbattere barriere invisibili e permettere a tutti di essere parte della vita pubblica, senza dover dare spiegazioni o chiedere permessi per ogni passo.
Non è solo una questione di legge, ma di visione: il diritto alla mobilità non è legato a un volante o a un libretto di circolazione. È un diritto umano, che riguarda la libertà, la partecipazione e la possibilità di vivere senza limitazioni arbitrarie. Questa sentenza ci ricorda che anche i dettagli contano, e che i diritti non vanno concessi, ma riconosciuti.