Armando ha 78 anni, quattro appartamenti, due locali commerciali per un valore di milioni e 300.000 euro liquidi sul conto. Vuole lasciarli ai suoi tre figli, ma non è sicuro di cosa succede con le tasse di successione. Decide di parlare con il notaio, l’avvocato e il direttore di banca.
Capisce che sugli immobili ci sono imposte inevitabili, ma per la liquidità esiste una soluzione meno conosciuta. La norma parla di franchigie, percentuali e strumenti esclusi dalla tassa, ma serve chiarezza.
Il caso di Armando diventa così un esempio concreto per capire come tutelare un’eredità.

Il notaio chiarisce subito che i figli hanno una franchigia di un milione di euro ciascuno sull’imposta di successione.
Questo significa che, pur avendo un patrimonio immobiliare rilevante, la norma risparmia i figli da una tassazione elevata. Restano però le imposte ipotecarie (2%) e catastali (1%) calcolate sul valore catastale, più basse rispetto al mercato, ma comunque reali. Se uno dei figli sceglie un appartamento come prima casa, quelle imposte si riducono a 200 euro per ciascuna.
L’avvocato sottolinea che la legge è più severa con parenti meno stretti o persone non imparentate: in quei casi aliquote del 6-8% possono applicarsi senza alcuna franchigia. È una differenza che rende la scelta degli eredi decisiva.
Il tema più delicato, però, riguarda i 300.000 euro restanti sul conto: potrebbero sembrare “a posto”, ma in realtà restano parte della base imponibile, salvo intervenire.
Le imposte sugli immobili di Armando
I beni immobili di Armando valgono milioni, ma grazie alle franchigie i figli non pagheranno imposte di successione su quelle quote. Restano però le imposte ipotecarie e catastali da affrontare.

Facciamo un esempio pratico: un appartamento con valore catastale di 200.000 euro comporta 4.000 euro di imposta ipotecaria e 2.000 euro di imposta catastale, per un totale di 6.000 euro. Moltiplicato per più immobili, la cifra cresce.
È la dimostrazione concreta che anche con patrimoni cospicui, occorre conoscere le regole per non correre sorprese.
I 300.000 euro in conto deposito vincolato: sicurezza e rendimento
Il direttore di banca propone una strada semplice e pulita per la liquidità: investire 250.000 euro in un conto deposito vincolato a 12 mesi. I conti deposito a vincolo attualmente offrono rendimenti lordi intorno al 3% annuo, con alcuni istituti che arrivano al 3,3% lordo. Questo significa che Armando, oltre a proteggere i soldi dall’imposta di successione, ottiene anche un piccolo rendimento extra, sicuro e garantito.
C’è però un aspetto ancora più importante.
Se ad Armando capitasse qualcosa durante i 12 mesi di vincolo, il capitale investito nel conto deposito rientrerebbe comunque nella franchigia di un milione di euro per ciascun figlio. In pratica, i tre eredi non pagherebbero nulla di imposta di successione su quella somma, che verrebbe suddivisa e trasmessa senza riduzioni. Resterebbe soltanto la tassazione sugli interessi, al 26%, ma il capitale passerebbe integro.
Questa scelta permette quindi di trasformare una liquidità ferma in uno strumento che produce un rendimento e che, al tempo stesso, non grava sugli eredi. Il restante della liquidità, 50.000 euro, può essere tenuto sul conto per eventuali spese impreviste.
Il notaio e l’avvocato concordano: non si tratta di un trucco, ma di pianificazione consapevole. La legge italiana riconosce vantaggi a chi utilizza strumenti come i titoli di Stato e i conti deposito, perché considera queste soluzioni utili a sostenere il sistema economico. La storia di Armando mostra bene la differenza tra immobili e liquidità.
Da un lato ci sono tasse inevitabili sugli immobili, dall’altro scelte intelligenti che permettono di proteggere i risparmi. Perché lasciare che sia lo Stato a decidere, quando basta poco per cambiare il futuro di un’eredità?