Nel 2025 andare in pensione non sarà solo una questione di età o di contributi. Due percorsi distinti regolano tutto, e non conoscere il proprio può significare perdere tempo o soldi. Il rischio più grande? Fare i conti senza sapere davvero come funziona il sistema. Con la parola chiave “pensione 2025” si riaccendono i dubbi di molti, tra promesse mancate e regole che cambiano da un anno all’altro. Chi si è già informato, sa che la differenza la fanno dettagli spesso sottovalutati.
C’è chi pensa alla pensione come a un punto d’arrivo sicuro. Ma in Italia, oggi più che mai, è diventata un percorso a ostacoli, soprattutto per chi non ha una carriera lineare alle spalle. Il momento in cui si smette di lavorare non è più scritto nero su bianco in un contratto: dipende da requisiti flessibili, soglie economiche e formule che variano in base all’anno di inizio del lavoro. Una situazione che obbliga a riflettere per tempo, anche se spesso si tende a rimandare.

Molti credono che basti raggiungere una certa età per ottenere l’assegno previdenziale. In realtà, chi ha cominciato a lavorare prima del 1996 segue una logica diversa rispetto a chi è entrato nel mondo del lavoro dopo. E questo incide direttamente non solo sull’età della pensione, ma soprattutto sull’importo mensile che verrà percepito. In più, nel 2025 restano attive alcune misure straordinarie che offrono vie d’uscita anticipate, ma solo a determinate condizioni.
Due regole, due mondi: cosa cambia se si è lavorato prima o dopo il 1996
Nel sistema pensionistico italiano, il 1996 è una data spartiacque. Chi ha contributi versati prima di quell’anno rientra in un meccanismo misto, con una parte calcolata sullo stipendio degli ultimi anni e una parte sui contributi effettivi. Per loro, nel 2025, la pensione di vecchiaia arriva a 67 anni con 20 anni di contributi. In alternativa, l’uscita anticipata è possibile con almeno 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne).

Chi invece ha iniziato a versare dopo il 1996, segue il sistema contributivo puro. Qui tutto dipende da quanto si è effettivamente versato, anno dopo anno. Anche in questo caso la pensione ordinaria si ottiene a 67 anni con 20 anni di contributi, ma solo se l’assegno mensile previsto è almeno pari all’importo dell’assegno sociale (circa 538 euro). Se non si raggiunge questa soglia, l’alternativa è attendere i 71 anni, a patto di avere almeno 5 anni di contributi. C’è poi una terza opzione: uscire a 64 anni, ma con un assegno pari a tre volte l’importo dell’assegno sociale. Un limite che spesso taglia fuori chi ha avuto redditi bassi.
Misure anticipate e rischi nascosti: Quota 103 e Opzione Donna nel 2025
Nel 2025 restano disponibili due strumenti pensati per anticipare l’uscita dal lavoro: Quota 103 e Opzione Donna. La prima consente di andare in pensione a 62 anni con 41 anni di contributi. Tuttavia, l’assegno viene calcolato interamente con il metodo contributivo, e fino a 67 anni non può superare circa 1.860 euro netti. Questo limite rende la misura poco vantaggiosa per chi potrebbe aspettare qualche mese in più ed evitare penalizzazioni.
Opzione Donna riguarda le lavoratrici con almeno 61 anni e 35 di contributi, ma solo se rientrano in categorie specifiche: caregiver, invalide civili, disoccupate o dipendenti di aziende in crisi. Anche in questo caso si applica il metodo contributivo puro. I tempi di erogazione variano da 12 a 18 mesi e l’età può essere ridotta in presenza di figli. Ma resta il problema dell’importo, spesso troppo basso per garantire stabilità.