E se il Trattamento di fine rapporto non potesse più essere usato quando serve, ma diventasse una leva per andare in pensione prima? Con il sistema pensionistico sotto pressione e una popolazione sempre più anziana, l’idea di destinare il Tfr all’Inps non è solo una proposta tecnica, ma una scelta che può incidere profondamente sulla vita di chi lavora oggi. La parola chiave è Tfr Inps, e dietro di essa si nasconde molto più di quanto sembri.
Ogni mese, una parte dello stipendio viene accantonata per formare quel “tesoretto” chiamato Trattamento di fine rapporto. Un fondo personale, spesso atteso con ansia a fine carriera o richiesto in anticipo nei momenti difficili. Oggi però, questo strumento potrebbe cambiare completamente funzione.

Di fronte a una spesa previdenziale che, nel 2025, toccherà i 289 miliardi di euro, il governo valuta soluzioni nuove. Una delle più discusse è proprio quella di affidare la gestione del Tfr all’Inps, lasciandolo in mani pubbliche per sostenere il sistema pensionistico.
Il Tfr come strumento per salvare le pensioni
La proposta prevede che il Tfr Inps non venga più trasferito ai fondi integrativi, ma resti nelle casse pubbliche. L’idea, sostenuta da figure di governo come il sottosegretario Claudio Durigon, è di utilizzare questi fondi per finanziare uscite anticipate dal lavoro o integrare la pensione. Senza aumentare la pressione fiscale, il Tfr diventerebbe così una sorta di garanzia per una pensione più stabile.

Questa misura risponde a un’urgenza demografica: entro il 2050, oltre un terzo della popolazione italiana avrà più di 65 anni. Il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati è in continuo peggioramento, e trattenere il Trattamento di fine rapporto potrebbe diventare una delle poche soluzioni praticabili per evitare un collasso del sistema.
Ma c’è un prezzo. I lavoratori non potrebbero più richiedere anticipi del Tfr per necessità personali. Diventerebbe un capitale bloccato fino alla pensione. Questo cambio di funzione trasforma quello che oggi è un salvagente in una riserva obbligata, limitando la libertà individuale di gestione del proprio denaro.
Dubbi, giovani e silenzio-assenso: i nodi della riforma
La misura, che potrebbe entrare nella Legge di bilancio 2026, ha un impatto particolare sulle nuove generazioni. I giovani partecipano poco alla previdenza integrativa e, per incentivarli, si pensa a reintrodurre il silenzio-assenso: chi non sceglie esplicitamente dove destinare il Tfr, lo vedrà automaticamente versato in un fondo pensione. Una mossa per aumentare l’adesione, ma che solleva interrogativi sulla libertà di scelta.
Restano poi i rischi legati alla fiducia nel sistema pubblico. Se il Tfr all’Inps non generasse rendimenti adeguati o venisse erogato con ritardi, l’effetto sarebbe una perdita di controllo da parte del lavoratore sul proprio risparmio.