Cambiare lavoro nel corso della vita può essere una necessità oppure una scelta, ma attenzione ai contributi per la pensione.
La continuità contributiva è fondamentale per raggiungere nei tempi previsti la pensione. Cambiare lavoro molto spesso potrebbe essere un problema. Andiamo a scoprire il perché.

Cambiare molto spesso lavoro nel corso della vita può essere una scelta di crescita o di necessità, siamo tutti ambiziosi e cerchiamo di valorizzarci anche sul lavoro. Oppure, si cambia semplicemente perché l’azienda di cui eravamo dipendenti cade in rovina e non è più in grado di pagare gli stipendi. Purtroppo succede anche questo. Qualunque sia il motivo, c’è una certezza: cambiare spesso lavoro potrebbe essere un problema per la pensione. A rischio la continuità contributiva.
Per continuità contributiva si intende un versamento regolare e continuo di contributi all’Inps. Non avere buchi nei versamenti diventa oggi fondamentale dal momento che nel calcolo delle pensioni si è passati dal sistema retributivo a quello contributivo. L’assegno della pensione viene determinato, cioè, sulla base dei contributi versati e non sulla retribuzione percepita prima del pensionamento.
Pensione: se cambi spesso lavoro potresti avere dei problemi, il perché
Come abbiamo visto, con l’attuale normativa sulle pensioni, il calcolo sull’assegno tiene conto degli anni necessari a raggiungere il pensionamento, ma oggi determina anche la somma da ricevere.

Dunque, mentre in passato la continuità contributiva era importante soprattutto al fine del calcolo degli anni necessari a raggiungere il pensionamento, adesso è fondamentale anche per quantificare la pensione da ricevere. Quando il lavoratore chiude un rapporto di lavoro e ne avvia poi un altro, ad esempio il giorno dopo, la continuità contributiva è garantita. Se invece trascorre del tempo, si creano i cosiddetti buchi contributivi, in questo caso le mancanze andrebbero colmate per non perdere la continuità per non rischiare di avere una pensione più bassa e più lontana.
I contributi da lavoro, tuttavia, non sono gli unici che possono determinare la propria pensione. Esistono infatti anche i contributi figurativi accreditati sul conto previdenziale del lavoratore quando non ha prestato attività lavorativa né dipendente né autonoma e ha percepito un’indennità a carico dell’Inps (la Naspi per esempio) o ha percepito retribuzioni in misura ridotta. Ci sono poi i contributi da riscatto, ovvero il versamento del lavoratore per riscattare il periodo universitario e conteggiarlo ai fini pensionistici. Infine, ma non per importanza, esistono i contributi volontari fatti di tasca propria, che il lavoratore sceglie per colmare uno o più buchi contributivi.
Se un lavoratore dipendente sceglie di passare alla libera professione, chiudendo con la gestione dipendenti, potrebbero non esserci buchi contributivi a livello temporale, ma la storia contributiva risulterebbe frammentata tra più gestioni.
L’Inps permette a chi ha posizioni assicurative in gestioni previdenziali diverse, di riunire, mediante trasferimento, tutti i periodi contributivi presso un’unica gestione, allo scopo di ottenere una sola pensione. La scelta meno rischiosa è quella di una pensione integrativa che protegge anche dai buchi contributivi che non si sono riusciti a colmare per i più svariati motivi.