Pensioni più alte nel 2026 per effetto della rivalutazione: ecco quanto riceverai in più ogni mese

Anche nel 2026 le pensioni verranno rivalutate al tasso di inflazione. Come cambieranno gli assegni da gennaio? Ecco tutte le novità.
Secondo le ultime stime dell’ISTAT, il tasso di inflazione ammonterebbe all’1,7%, un valore pù elevato rispetto a quello dell’ultimo anno (pari all’1%). Questa modifica avrà inevitabilmente delle conseguenze sul piano pensionistico, visto che ogni anno gli assegni sono rivalutati a seconda dell’andamento del costo della vita.
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Pensioni più alte nel 2026 per effetto della rivalutazione: ecco quanto riceverai in più ogni mese (trading.it)

La cd. perequazione rappresenta un meccanismo fondamentale per preservare il potere d’acquisto delle pensioni. Il sistema, tuttavia, non comporta aumenti uniformi per tutti i pensionati, ma le somme vengono incrementate a seconda dell’ammontare dell’assegno percepito. Ma chi saranno i fortunati a godere della perequazione piena già a partire dal prossimo gennaio?

Pensioni più alte nel 2026 grazie alla rivalutazione: come avviene l’adeguamento al tasso d’inflazione?

Ricordiamo che il trattamento minimo mensile, per il 2025, ammonta a 603,40 euro. A tale cifra va sommata una maggiorazione decisa in via straordinaria pari al 22%, per aiutare i contribuenti economicamente in difficoltà. Di conseguenza, l’importo mensile del trattamento minimo INPS è di 616,67 euro. Questo parametro è fondamentale per l’applicazione dell’adeguamento all’inflazione. L’attuale sistema, infatti, che prende il nome di perequazione automatica, prevede tre percentuali di adattamento:
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Pensioni più alte nel 2026 grazie alla rivalutazione: come avviene l’adeguamento al tasso d’inflazione? (trading.it)
  • 100%, per gli assegni fino a 4 volte il trattamento minimo INPS (2.466,68 euro al mese);
  • 90% del tasso d’inflazione, per gli assegni tra 4 e 5 volte il trattamento minimo INPS (ossia di importo compreso tra 2.466,68 e 3083,35 euro al mese);
  • 75% del tasso d’inflazione, per gli assegni superiori a 5 volte il trattamento minimo INPS, ossia 3083,35 euro al mese. Tale limitazione è necessaria per evitare un peso eccessivo sulle casse dello Stato e, dunque, serve a bilanciare gli effetti sulla spesa pubblica.

Modificare l’ammontare delle prestazionoi previdenziali e assistenziali sulla base dell’andamento dell’inflazione è fondamentale, perché esplica una funzione spesso sottovalutata: aiuta a preservare il potere d’acquisto dei contribuenti. Di norma, infatti, sono proprio i più anziani a essere penalizzati dall’aumento dei prezzi, ma uno stato di diritto non può ignorare questo importante aspetto. Anche se moderato (l’inflazione attuale all’1,7% è ben lontana, per fortuna, dai valori registrati negli anni della pandemia), l’incremento del costo della vita ha sempre delle conseguenze deleterie sulla popolazione. Senza un meccanismo di perequazione, i più anziani sarebbero destinati a soccombere e a fare i conti con rinunce sulla spesa quotidiana. Prevedere delle fasce progressive di adeguamento sulla base dell’ammontare delle prestazioni, inoltre, è il giusto compromesso tra la tutela di coloro che hanno un reddito inferiore e la necessità di non gravare sulla spesa pubblica.

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